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Andateci

L’ALTARE DI SAN VITTORE

SILVANO COLOMBO - 01/03/2024

L’altare dei Buzzi in San Vittore

L’altare dei Buzzi in San Vittore

Nella basilica varesina di san Vittore, nel presbiterio, è uno dei monumenti più raffinati ed esemplari del barocchetto milanese. Si tratta dell’altare maggiore a tempietto sovrapposto, un vero e proprio monumento nel monumento.

La sua costruzione ebbe inizio nell’agosto del 1734, e fu conclusa tra l’ottobre ed il novembre del 1742 (v. Silvano Colombo, La bottega dei Buzzi di Viggiù e “la construtione del nouo Tabernacolo” per la Veneranda Fabbrica della chiesa collegiata insigne di San Vittore di Varese (1735-1742), in: La Storia di Varese**Storia dell’Arte a Varese e nel suo territorio, Insubria University Press-Varese 2011,p.211-229).

Al solo considerare l’arco di tempo intercorso ci si rende conto che fu impresa assai impegnativa, a partire dal progetto approntato dall’ingegnere collegiato milanese Bartolomeo Bolli, che aveva fama di essere “architetto molto distinto”( o.c., p. 211).

Per essere ben consapevoli dell’entità dell’impresa, fu presentato un modelletto in legno di noce che dava conto del “disegno” del Bolli (conservato nell’archivio di San Vittore, è fotografato nell’opera citata a p. 213).

Il Bolli infatti aveva previsto un altare a tempietto sovrapposto in considerazione dell’entità del presbiterio, nel quale la nuova opera sarebbe stata compiuta. Difatti, se si fosse pensato ad un semplice altare, con mensa per quanto ricca, il volume parallelepipedo sarebbe risultato esiguo, schiacciato, alla vista, dalle casse lignee delle cantorie del Castelli ed annegato dagli affreschi di Salvatore Bianchi coloriti sulle pareti di fondo.

Dai disegni bisognava passare alla realizzazione, alla “posa in opera”.

I Fabbricieri di San Vittore discussero a lungo ed alla fine, esaminate le diverse offerte presentate, scelsero quella dei fratelli Carlo Gerolamo, Elia Vincenzo e Giuseppe Buzzi di Viggiù, che “erano ben esperti tanto nella quadratura dei marmi, quanto per formare le statue” ed affidarono loro il lavoro nell’agosto del 1735 (o.c. p. 211).

L’affidamento ai Buzzi comportava che i lavori per dare forma ai marmi sarebbero stati condotti a buon fine nelle loro botteghe a Viggiù; che sarebbero stati condotti a Varese con carri: una volta la spedizione fu di tredici (o.c. p.215); che sarebbero stati supervisionati, come avvenne una volta quando da Varese salirono a Viggiù i pittori Magatti e Baroffio (22 giugno 1741,o.c. p. 213).

La preziosità dell’impresa è ben rilevabile attraverso il lumeggiare dorato di certe parti della “fabbrica” che in talune ore del giorno il sole accende delicatamente.

Essa è dovuta al fatto che basi, e capitelli, e riporti che arricchiscono le volute dell’altare-tempietto sono in bronzo dorato. Dapprima la fusione dei bronzi, affidati a tal Carlo Domenico Pozzi, di Milano, eseguiti e pagati nel 1740; poi la loro doratura, curata dal milanese Giovanni Antonio Repetti, pagata il 6 settembre del 1742( o.c. p.213-215). Senza dimenticare i raggi che formano corona del Cristo, in rame battuto e dorato, opera di Giovanni Battista Guerra, liquidata al tempo del Repetti.

Elia Vincenzo Buzzi, che dei fratelli era il maestro statuario, avrebbe modellato in marmo di Carrara le statue impostate sul tempietto, realizzando i disegni approntati dal pittore varesino Pietro Antonio Magatti. Ma dove stava lavorandole? A Milano, nella bottega presso la Fabbrica del Duomo, che era stata dello Zarabatta e che gli era stata assegnata nel 1741. Le avrebbe compiute entro l’agosto-ottobre del 1742 e poi sarebbero state condotte da Milano a Varese, in casse di legno su carri. Alla fine il saldo.

Ho elencato solo i passaggi salienti dell’impresa per fare considerare quale e quanto lavoro sia stato messo in atto per la sua realizzazione e per far tornare alla luce nomi e cognomi di persone mai conosciute, senza la cui opera il nostro “tabernacolo” non sarebbe stato realizzato.

Così affermo perché, e ne sono convinto, quando entriamo in chiesa a fatica la consideriamo e forse non siamo mai saliti sull’altare per esaminarlo da vicino, per scoprire la straordinaria persuasiva scioltezza con la quale le sagome marmoree si annodano e si congiungono, dando campo ai bronzi dorati, o valutando lo slancio del tempietto, egregia opera di architettura animata dalle sculture di Elia Buzzi.

Per questo motivo, e chiedo venia al lettore, questa volta pedantescamente ho messo in fila date e dati, perché l’opera è corale e l’elevata qualità artistica espressa lo fa monumento nel monumento della basilica, degno di essere visitato. Andateci.

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