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Economia

IL VALORE MORALE DELL’EURO (E DELLA POLITICA)

GIANFRANCO FABI - 07/09/2012

C’è stato un passaggio nel discorso che il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha tenuto al meeting di Rimini, un passaggio particolarmente importante anche se non é stato registrato con grande attenzione dai resoconti, necessariamente sintetici, che ne hanno dato i giornali. É stato quando Monti ha ricordato un momento della sua esperienza di commissario europeo. “Era il 1995 – ha ricordato Monti – e i vescovi polacchi volevano sapere che cosa fosse l’Europa. In quell’occasione ho cercato di spiegare ai presuli che l’euro era anche un valore morale perché i paesi dovevano impegnarsi ad essere più disciplinati nella politica della finanza pubblica”. La moneta unica come valore morale quindi e nello stesso tempo un impegno di disciplina che avrebbe dovuto evitare quello che invece era avvenuto fino ad allora e purtroppo é continuato: la continua politica dei governi di cercare di accontentare tutti per cercare di guadagnare consenso elettorale scaricando gli oneri e i costi della politica sulle generazioni future. “L’attuale disoccupazione – ha sottolineato Monti – é figlia di quegli anni”.
É una riflessione indubbiamente amara, una riflessione tuttavia che aiuta ad analizzare alcuni elementi di fondo dell’attuale crisi economica italiana. In primo luogo perché il nostro Paese, ma non solo, ha mancato non tanto e non solo un obiettivo economico, quanto innanzitutto un impegno morale, quello di non vivere al di sopra dei propri mezzi. In secondo luogo perché con la continua crescita del debito (che ha accomunato i Governi di destra e di sinistra) si é progressivamente impoverito il Paese costretto a finanziare una spesa per interessi che ha progressivamente limitato le possibilità operative della gestione di bilancio. E infine perché si sono poste le premesse per una crisi di sistema che rischia tuttora di rendere ingestibile il complesso meccanismo di una moneta unica europea. Eppure l’euro nella sua pur breve esperienza ha comunque dimostrato di poter valorizzare tutti gli elementi positivi del mercato unico, tanto più positivi in uno scenario mondiale in cui la globalizzazione é orami una realtà con cui fare i conti quotidianamente.
Ora l’Italia si trova a metà di un cammino difficile e complesso. Da una parte c’é la svolta compiuta da Monti che si é basata su tre elementi forti. 1) una emergenza economica da affrontare cercando di avviare una riforma anche profonda dei metodi di governo; 2) una palese incapacità delle forze politiche di avere una responsabilità diretta in scelte necessariamente impopolari; 3) un silenzioso consenso popolare che, pur nell’amarezza di dover ridurre il proprio tenore di vita, ha giustamente visto come queste scelte (pur meritevoli anche di qualche critica) fossero indispensabili per non scivolare sempre di più nei vortici della crisi finanziaria.
Dall’altra parte tuttavia c’é una vasta area del Paese, e soprattutto delle forze politiche e sociali, che continua a mantenere un atteggiamento profondamente conservatore a difesa dei mille privilegi di cui é “ricca” la società italiana. In questa area bisogna comprendere quelle che tradizionalmente vengono chiamate le “parti sociali” con il sindacato in prima fila che non a caso ha continuato a minacciare scioperi e proteste su riforme fondamentali come quelle delle pensioni e del mercato del lavoro.
Questo non vuol dire che le riforme proposte e in parte approvate dal Governo debbano essere acriticamente accettate. La critica deve restare non solo possibile, ma in alcuni casi anche doverosa. Ma se guardiamo al bilancio politico e sociale degli ultimi dieci anni ci sono tutte le ragioni per una svolta altrettanto drastica quanto profonda. Abbiamo accumulato la crescita economica più bassa a tutti i Paesi europei, il debito pubblico più alto rispetto al prodotto interno lordo, la pressione fiscale più pesante sulle famiglie e sulle imprese, la pubblica amministrazione meno efficiente e più costosa, una disoccupazione ben superiore alla media europea. Il tutto grazie ad una politica inconcludente che ha continuato e continua a considerare il bipolarismo come un sistema intoccabile, grazie ad un federalismo costoso che ha moltiplicato i centri di spesa esaltando (soprattutto al Sud) l’incompetenza delle classi politiche, grazie ad una pubblica amministrazione ingessata nei propri privilegi ed impegnata soprattutto a mettere sabbia negli ingranaggi nell’azione di governo.
Ma nonostante i risultati continua ad essere un tabù criticare bipolarismo e federalismo. Forse é il momento di avere il coraggio del bambino della favola di Andersen e gridare, senza alcun rispetto per i formalismi, che “il re é nudo”.
E allora diciamolo: il federalismo così come é stato attuato in Italia é stato uno dei più importanti fattori che hanno fatto esplodere la spesa pubblica. E il bipolarismo, così come è stato praticato, è stato un’illusione dietro cui si è mascherata l’inefficienza e l’inefficacia della politica. Una politica che ha perso quella che dovrebbe essere una delle sue caratteristiche fondamentali, la stessa della moneta unica: il valore morale.

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