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Politica

GL’ITALIANI IL MAGGIOR PROBLEMA DELL’ITALIA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 05/10/2012

Aldo Moro

Con la fine dell’estate le rondini lasciano il vecchio continente e svaniscono i sogni dell’Eurozona.

Non siamo più, come nei mesi passati, sull’orlo della bancarotta nazionale ma neppure è rimasta l’illusione che sia possibile ribaltare in poco tempo una situazione negativa che perdura da almeno due decenni.

L’altra illusione che sta scomparendo è quella che sia stata trovata la ricetta per far ripartire l’economia reale: in America sulla base di una massiccia iniezione di liquidità nel sistema, in Europa con l’adozione di politiche di rigore e, se possibile, di crescita.

Tali ricette sono sostenute da una terza illusione, quella che i governi possano adottare provvedimenti decisivi ignorando la sostenibilità politica, cioè la generalizzata paura di un futuro enigmatico che non presenta certezze. La mancanza di fiducia, il vivere quotidiano senza prospettive, il preoccuparsi solo per sé senza la consapevolezza di un comune destino, sono le cause fondamentali dell’attuale crisi economica e civile.

Ma va anche detto che a un governo serio gli italiani hanno sin qui preferito il leader populista che fa credere di possedere la “ricetta magica” per risolvere in breve tempo gli annosi problemi del Paese.

Eppure, aveva profetizzato Aldo Moro: “Il potere conterà sempre di meno, e conterà di più una parola detta discretamente, rispettosa e rispettata”.

Questa pericolosa illusione ha distrutto la possibilità di formare una classe politica attraverso partiti “veri” che non siano soltanto dei comitati elettorali a sfondo personalistico.

I partiti hanno privatizzato le istituzioni pubbliche ma si sono a loro volta privatizzati; gli spazi della selezione politica sono stati annullati con la pratica della cooptazione e così è prevalsa la burocrazia interna. In questo modo, annotava Mino Martinazzoli, “emerge una nuova classe di protagonisti della post-ideologia che predicano la politica come concretezza e spesso la praticano come affare”. Tuttavia “vi sono ancora nell’entroterra più profondo dei partiti giacimenti ideali, riserve di moralità, che hanno bisogno di essere liberati per riconoscersi”. La politica ha le sue colpe ma non è colpevole di tutto.

Come all’indomani dell’unità nazionale, il “trasformismo” inquina le nostre istituzioni e i governi possono cadere in seguito alla “compravendita” dei parlamentari. Il ricorso plebiscitario all’ ”uomo della provvidenza” non è stato una parentesi ma una componente ricorrente della nostra identità.

A sua volta la fragilità dei partiti rimanda alla realtà di una folla solitaria, di una moltitudine atomistica e spersonalizzata di individui che, privi di idee, adottano quelle facili e allettanti dei “venditori di fumo”.

Dopo il governo tecnico di Monti, che ha posto uno stop al fallimento, i partiti rivendicano il diritto della politica a tornare a guidare il Paese, ma tale legittima rivendicazione contrasta con la realtà del nostro sistema politico, caratterizzato dall’insopportabile andazzo di corruzione, cialtronerie e ruberie del denaro pubblico.

Nell’opinione pubblica internazionale si è affermata la convinzione che gli italiani, insieme agli spagnoli, preferiscano un governo debole, senza senso civico, che non governi, per consentire loro di fare quello che vogliono: è il “qualunquismo” degli italiani il problema di fondo della inadeguatezza della politica.

La vera emergenza democratica è la disgregazione dei partiti, ridotti a comitati d’affari, la cui richiesta di tornare al potere è assai poco credibile se prima non si rigenerano anche attraverso l’applicazione dell’articolo 49 della nostra Costituzione, con leggi vincolanti che stabiliscano compiti, procedure e controlli per le forze politiche. La libertà comporta delle regole, senza le quali si fa spazio alla licenza e alla confusione.

In tempi lontani Aldo Moro osservò: “Io temo le punte, ma temo di più il dato serpeggiante di questo rifiuto dell’autorità; di questo rifiuto del vincolo, questa deformazione della libertà che non fa più accettare né vincoli né solidarietà”.

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