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Politica

NASCITA E MORTE DELLA PROVINCIA DI VARESE

MANIGLIO BOTTI - 12/10/2012

Fa una certa impressione leggere oggi sul giornale di Varese articoli che testimoniano la dissoluzione dell’istituto Provincia, quando una novantina di anni fa, sullo stesso giornale, per la firma del direttore e fondatore Giovanni Bagaini, comparivano un giorno sì e l’altro pure articoli che lo stesso istituto promuovevano, caldeggiandone per di più il distacco da Como.

Adesso si torna punto e daccapo. E meno male che in certi paesi della Valcuvia, che della diocesi comasca tuttora fanno parte per antica tradizione, non sono state smantellate le targhe murali che indicano anche la vecchia appartenenza amministrativa alla Provincia lariana. La cosiddetta riforma del territorio, dunque, ci catapulta all’indietro di più di un secolo. Il buon Vico applaude; il Bagaini – forse – si rigira nel suo sepolcro di Giubiano.

Si racconta che nel primo pomeriggio del 6 dicembre del 1926, nel momento in cui a Varese arrivò il telegramma che annunciava la desiderata nascita della Provincia, e l’abbandono di Como, la città fu pervasa da manifestazioni di gioia: la banda musicale si radunò e cominciò a intonare inni, si costituì un corteo di festanti che al canto di “Giovinezza! Giovinezza!” attraversò il centro. Ora, le notizie della morte della suddetta Provincia non suscitano neanche minime reazioni. La gente appare leggermente infastidita, o annoiata, che è anche peggio.

Il legame tra giornali locali e Provincia è stato notoriamente intenso. È notorio, per esempio, che il “manifesto” con il quale Benito Mussolini fu convinto ad approvare la Provincia venne redatto nel salone d’onore della redazione della “Bagaina”, altrimenti detta “Cronaca Prealpina”, che in quell’epoca si trovava in via Bernascone, all’angolo di via Carrobbio. In seguito vi trovò posto un locale cinematografico – il Lyceum – che tra fasti e nefasti prolungò la propria attività fino agli anni Ottanta. Oggi, guarda caso, nello stesso salone ha sede un giornale quotidiano la cui testata si chiama “Provincia di Varese”. Giovanni Bagaini – esonerato dai fascisti nel 1928 – non ebbe l’onore di vedere, da giornalista militante, la realizzazione del suo ideale. Ma la “Cronaca Prealpina” fu situata (fino al 1969) in un’ala del Palazzo Littorio (ora Palazzo della Questura), quasi di fronte alla sede della “nuova” Provincia e della Prefettura: Villa Recalcati, ex Grand Hotel Excelsior.

La cancellazione della Provincia di Varese, si sa, è stata decretata dall’attuale Governo (presieduto da un varesino) in nome di una corsa al risparmio e nel dispregio dello spreco. Nobile proposito, se non fosse che non si capisce ancora a quale somma ammonterà il risparmio, visto che – solo per fare un esempio – in Lombardia di dodici Province, tra vecchie e nuove, ne sopravviveranno nove, lo stesso numero che si annoverava nella regione alla fine della seconda guerra mondiale. Altrove (nella stragrande maggioranza dei casi) nulla cambierà, o se si cambia si tratta di gattopardesche mutazioni all’italiana. Anzi, non è improbabile che (al momento) si spenderà di più. Il Governo – è opinione personale – avrebbe dovuto avere il coraggio di dire “Le province? Via tutte…”. Così invece si sta toccando il ridicolo.

Tra i principali contestatori del provvedimento di “ristrutturazione” delle Province vi è oggi il partito della Lega Nord. Il segretario Bobo Maroni (anche lui di Varese, anzi di Lozza) avrebbe sostenuto che le cose sono andate così perché si è voluto infliggere una punizione alla Lega stessa che, si sa, è nata e cresciuta proprio a Varese. Ora, si dice che a pensar male si fa peccato ma che ci si azzecca quasi sempre. E può darsi che ciò risponda a verità. Ma perché nel Veneto, altra roccaforte del leghismo, le Province hanno resistito e resistono?

Bobo Maroni, che con il suo partito negli ultimi diciott’anni è stato al Governo in posizione non certo defilata per quasi due lustri, dovrebbe anche dire che cosa di concreto in tutto questo tempo la Lega e i suoi uomini hanno fatto per Varese e per la Provincia. Quali benefici (politico-amministrativi, s’intende) ne sono derivati. Altrimenti, meglio tacere.

Nello sviluppo degli eventi, intanto, dopo la sparizione annunciata ma probabile della Provincia (si dovrà stare con i comaschi o con i milanesi… Ritornano sempre in auge i vecchi temi che trattava il Bagaini, buon’anima), sembra piuttosto di retroguardia la “battaglia” sull’indicazione del capoluogo della nuova “provincia insubrica” (Como o Varese?), nel senso che il cittadino ne segue molto distrattamente gli esiti. Una tenzone virtuale, di immagine e, comunque vada, ininfluente per una seria ripresa anche economica. Che fine impietosa. Poveri noi. E povero Bagaini.

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