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Apologie Paradossali

L’ANNO DI COSTANTINO, L’INIZIO DI UN’ERA

COSTANTE PORTATADINO - 03/11/2012

Costantino imperatore

Questa volta l’argomento è serio e impegnativo.

Tanto che occorreranno parecchie puntate per svolgerlo e non sarà possibile fare il consueto uso d’ironia.

Cominciamo dall’occasione. Ricorre quest’anno il diciassettesimo centenario della battaglia di Ponte Milvio e sarà l’anno prossimo quella del cosiddetto “Editto di Milano”, in cui alcuni vedono l’inizio della cosiddetta “era costantiniana” della Chiesa. C’è l’annuncio di una importante mostra sull’evento al Museo Diocesano, ci sono già stati paginoni su importanti quotidiani ed è facile prevedere qualche polemichetta e una dose di giudizi sommari. Perciò, per una volta, l’apologia sarà preventiva e, spero, documentata.

Tanto per gradire, la cosiddetta “donazione di Costantino”, il noto falso medievale su cui si basò per secoli la pretesa della chiesa al potere temporale e di cui appunto si è attardato a discettare il Corriere, con Costantino non c’entra un bel nulla. È appunto un falso medievale, come le molte leggende fiorite intorno al presunto battesimo ad opera di papa Silvestro, dopo la guarigione dalla lebbra (o dal morbillo?) molti anni prima di quello storicamente documentato, avvenuto pochi giorni prima della morte. Perché perderci tempo, quando si sa che sono leggende collegate a cose successe almeno quattro secoli dopo?

Se vogliamo mettere a fuoco il tema dei rapporti tra Chiesa e Stato, facciamolo pure, ma riportiamolo ai tempi e ai modi pertinenti.

Per ora seguitemi, se avete pazienza, nella cronaca dei fatti.

La prima cosa da ricordare è che un editto di tolleranza che poneva giuridicamente fine alla persecuzione fu emesso da Galerio, primo degli Augusti, già nel 311, poco prima di morire per una cancrena, crudamente descritta da Lattanzio nel De mortibus persecutorum. Il paganesimo restava la religione ufficiale dell’impero, ma veniva concessa la libertà di culto ai cristiani, purché pregassero il loro dio per la salute dell’imperatore.

La scomparsa di Galerio apriva tra i tetrarchi rimasti la lotta per l’egemonia. Mentre Licinio occupava manu militari i territori già governati da Galerio, Costantino, che già regnava su Gallia e Britannia e Spagna, si impegnò in una spedizione militare in Italia contro il cognato Massenzio, autodefinitosi Princeps in Roma, ma considerato un usurpatore dai tetrarchi: si trattava di uno scontro puramente politico, che solo successivamente il suo biografo, quasi agiografo, Eusebio di Cesarea, dipingerà con i colori della crociata per liberare i cristiani dal persecutore Massenzio. Secondo le varie fonti, poco prima o nel corso della difficile impresa (Eusebio) o in sogno nella notte stessa antecedente la battaglia di Ponte Milvio (Lattanzio), sarebbe apparso all’imperatore e all’esercito un segno misterioso, accompagnato dalla scritta “con questo vincerai” (in greco o in latino a seconda delle fonti). Sicuramente non si trattava di una croce, ma di un monogramma composto dalle lettere greche chi e rho, riconducibili alle iniziali greche di Cristo. Il fatto storico, dietro gli abbellimenti agiografici si definisce nella presenza di tale monogramma nella monetazione e nelle insegne militari, nonché nella erezione, sul luogo probabile dell’accampamento costantiniano antecedente la battaglia, oggi Malborghetto, di uno “strano” arco trionfale, testimonianza certa di un avvenimento, per noi incerto nella natura, ma sicuramente memorabile.

La vittoria militare fu dovuta alla capacità strategica e al carisma di Costantino, confrontata alla presunzione e alla sprovvedutezza di Massenzio, che gli permise di rovesciare a proprio favore il rapporto di forze che era nettamente a vantaggio del secondo. Massenzio perì annegato nel Tevere, cosa che consentì poi ad Eusebio di innalzare enfatici paragoni tra Costantino-Mosè e Massenzio-Faraone.

Sembra certo che Costantino non abbia celebrato il trionfo nella maniera usuale dei conquistatori e in particolare che non sia salito al tempio di Giove Capitolino per il sacrificio di ringraziamento. Secondo Eusebio, Costantino avrebbe invece ordinato di erigere una sua statua monumentale, recante un vessillo con il segno della vittoria.

In seguito, l’arco di trionfo decretatogli dal Senato, avrebbe recato, invece della consueta dedica a Giove Ottimo Massimo, la formula instinctu divinitatis, per ispirazione della divinità, di un dio senza nome.

La conclusione di questo primo atto della storia costantiniana è la seguente: Costantino non è ancora cristiano, tanto meno un “crociato”, ma ha fatto degli incontri e letto dei segni nella storia del suo tempo che lo inducono ad accostarsi agli ideali cristiani e alle persone che li rappresentano, fino al punto di farne oggetto di una specifica attenzione politica, sia per contribuire a risolvere problemi interni alla Chiesa stessa, è il caso della controversia donatista, di cui Costantino comincia ad occuparsi subito dopo la presa di Roma e ben prima dell’incontro di Milano, sia per usare delle risorse di umanità e di socialità messe in campo dalla Chiesa, sia per migliorare le condizioni di vita di tutto il popolo.

Con l’accordo di Milano dell’anno successivo, la svolta costantiniana diventerà una realtà giuridicamente rilevante per tutto l’impero.

 ***

L’enorme successo militare e politico aveva consegnato Roma e l’intero Occidente nelle mani di Costantino. Il Senato, certo sperando di riguadagnare un ruolo politico ormai declinato, gli conferì il titolo di primo Augusto. L’Oriente era lacerato dalla rivalità tra Licinio e Massimino Daia. L’accordo con Licinio si sviluppò fino a consolidarsi nel matrimonio dell’anziano imperatore d’Oriente con la giovane sorellastra Costanza. Nozze e alleanza furono celebrati a Milano nella primavera del 313 e nella circostanza fu sancito l’accordo sulla legittimazione del culto cristiano.

Contemporaneamente Massimino, sentendosi emarginato, imboccò la via delle armi, irrompendo in Europa nel territorio di Licinio ed espugnando Bisanzio. Licinio lo affrontò in Tracia. Lattanzio dà un interpretazione religiosa dello scontro: Massimino si sarebbe votato a Giove, promettendo di cancellare dalla terra il nome di cristiano, Licinio avrebbe fatto recitare al suo esercito una preghiera al “dio eccelso”, se non cristiana, almeno monoteistica. La vittoria di Licinio lo rese unico padrone dell’Oriente; entrato in Nicomedia vi pubblicò l’editto concordato a Milano, nell’unica redazione che ci è giunta, che pertanto dovrebbe essere propriamente chiamato di Nicomedia. Eccone la sostanza: i due imperatori discutendo di molti argomenti riguardanti la sicurezza dello Stato, riscontrano come il più urgente sia la soluzione definitiva dei contrasti religiosi, pertanto ai cristiani, come a tutti in generale, deve essere data piena facoltà di seguire il culto divino da ciascuno scelto. In particolare ai cristiani devono essere restituite le proprietà sequestrate nel corso della persecuzione precedente. Non si esplicita nessun riferimento al Dio dei cristiani, ma “alla divinità che è in cielo, quale che essa sia”.

È chiaro che non c’è nessuna rivoluzione, non c’è un atto d’imperio di un autocrate, ma la piena presa di coscienza di un fatto oggettivo: la presenza socialmente rilevante dei cristiani e la conseguente relativizzazione dei culti tradizionali, non più “religione civile” obbligatoria per tutti, perciò “ai cristiani e a tutti è data facoltà di seguire la religione che ciascuno ha scelto”.

Sì, questa è la vera svolta. È il riconoscimento della libertà di coscienza come origine della legittimità di ogni religione, della religione come tale, che dovrà essere ben distinta dalla superstizione. Ben presto si manifesterà in Costantino una duplice preoccupazione, in primo luogo favorire l’inserimento della Chiesa nella compagine anche istituzionale dello Stato, ispirando al cristianesimo molta legislazione innovativa e prestandosi a garantire anche con il proprio intervento attivo, l’unità disciplinare e quindi dottrinale della Chiesa stessa. Lo Stato si preoccupa di tutelare quella religione che ritiene coerente con il bene comune, ma non pretende di forgiarla secondo i propri intendimenti.

Questo è il punto controverso: la tesi opposta alla mia è, per esempio, riscontrabile in “Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione” di Corrado Augias e Remo Cacitti; ne riporto il passo più significativo:

Per quanto mi riguarda ritengo che Costantino non si sia mai convertito al cristianesimo, e pure il battesimo sul letto di morte mi sembra un dettaglio non particolarmente significativo. La dottrina penitenziale, come abbiamo detto, portava a credere che i peccati commessi dopo il battesimo non venissero perdonati. Moltissimi fedeli rimandavano fino all’estremo la somministrazione del sacramento, per garantirsi la salvezza. Quello che, viceversa, appare decisivo è che Costantino sia riuscito, nel corso di pochissimo tempo, a far assumere al cristianesimo lo stesso ruolo civile in precedenza assolto dalla religio. Se posso esprimermi in maniera sinteticamente provocatoria, direi che non è stato Costantino a convertirsi al cristianesimo, quanto il cristianesimo a convertirsi a Costantino”.

Sembra di dover passare dall’apologia di Costantino a quella della Chiesa; in che modo, lo vedremo la prossima volta.

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