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Lettere

L’OMINIDE DENTRO DI ME

- 24/11/2012

Caro direttore, che fregatura essere cristiani: dover amare anche chi non ci piace, il nostro nemico, l’odiato. È contro natura! Noi siamo gli “homo sapiens”, una specie di ominidi che si è affermata, su molte altre specie di ominidi, nel corso delle migliaia di anni, non certo col bon ton. Se qualcuno ci era anche leggermente antipatico, potevamo ammazzarlo. Per procurarci il cibo di tutti i giorni eravamo capaci di picchiare anche il familiare più stretto. Per arrivare primi al bisonte di turno, alla donna prescelta, alla pozza d’acqua, avremmo ucciso. E non metaforicamente.  Adesso ci chiedono di essere comprensivi, tolleranti, disponibili. Mi vedo soffiare il posto di lavoro e devo dire prego, si accomodi, prima lei. Mi occupano la casa, cosa vuoi che sia, aspetterò. Mi scippano il futuro, non devo gridare, maledire, bastonare, ma comprendere.

L’ominide dentro di me urla. E che è? 100.000 anni di evoluzione, di corsa, abbattendo ostacoli, attraversando foreste, mari, combattendo nazioni, conservando il seme per popolare un pezzo di mondo, per poi arrivare a te, figlio smidollato, sterco di vacca, puzza sotto il naso. Tu che ti credi virile moriresti entro un’ora nella giungla, se lì venissi abbandonato; tu che ti credi tollerante uccideresti, come me, per un pezzo di carne cruda, se non avessi di che mangiare; tu che ti credi buono sopprimeresti i tuoi figli se ne andasse della tua vita. Io sono la vita, tu sei la morte. Io, piccolo ominide, sono uscito dall’Africa e ho conquistato il mondo, tu, grande uomo, sei mai uscito dal tuo paese? Hai mai vagato nel buio della notte, mentre l’universo varca la soglia della tua piccola anima e sembra che ti si spacchi il cuore? Hai mai dovuto decidere chi sacrificare, perché almeno uno potesse vivere? Hai mai camminato senza sapere la direzione, nel freddo polare, verso una terra, promessa solo dalla tua disperazione, ma da nessun Dio? Io l’ho fatto per millenni, e mi sono stabilito qui, dove tu hai prosperato senza cognizione e senza merito. E, adesso, in un impeto di sconsideratezza senza uguali mi stai dicendo che la strada è finita, che l’ultimo balzo è paradossale, che la bestia deve riposare, che non mi devo preoccupare, che siamo tutti uguali, che non ci sono nemici, che non ci sono prede, perché tutto è giustificato, perché tutto procede dall’amore. Io questa parola non la conosco, conosco l’istinto, quello che mi faceva accoppiare con una donna, quello che mi obbligava a cercare un rifugio per i suoi figli. Certo, a volte anch’io sentivo, in un soffio improvviso, di fronte all’enormità della natura,  il sublime;  ma nulla più. Tutto poi taceva, e andavo a tentoni. Adesso tu mi dici questa parola nuova che non conosco, che percepisco, ma che non è stata il mio destino. Tu dici che il mondo è cambiato perchè in Gesù siamo tutti fratelli, perché tutti  siamo figli dello stesso Padre. E fin qui, posso anche intuirlo. Ma poi aggiungi che siamo chiamati ad amare e ad amare i nostri nemici. Adesso non ti credo più. Vedo le guerre, i soprusi dei potenti, le miserie dei deboli, le ingiustizie nate dalla paura, il mostro dell’indifferenza con gli artigli piantati anche nel tuo cuore. Tu non sei diverso dagli altri, non sei diverso da me. Magari fai cose meno eclatanti, ma sono meno terribili?  Eviti lo sguardo del fratello senegalese  che ti vuole vendere libri di fiabe africane per acculturare i tuoi bambini e sfamare i suoi, e passi oltre; quando la macchina si ferma al semaforo e sorella zingara ti chiede soldi, e forse anche uno sguardo, fai distrattamente cenno di no. Quando il fratello italiano ti chiede aiuto, in questo tempo di crisi, scuoti la testa intendendo che sei messo peggio di lui, comunque. Mi fermo. L’abisso del tuo cuore è più profondo della mia capacità di penetrarlo. Ti chiedo solo: È questo l’amore di cui parli?

L’ominide dentro di me, finalmente, tace. Non so cosa rispondere. So che dalla profondità del tempo, un giorno, l’atto creatore prese forma compiuta in Gesù. Lo shock fu talmente forte che ci rese immemori. Ne è rimasta solo una traccia. Qualcosa di più di uno strano vento, di un fuoco acceso, di un bizzarro prodigio, ma qualcosa di meno di una presenza certa, di una libertà generata, di un amore per sempre. Solo una traccia. Ma questa è la mia speranza, la materia che ho per vivere, la mia memoria. Questo è l’amore che posso. Pensalo solo in migliori mani e ne capirai l’intollerabile potenza. Tuo

Marco Demontis

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