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Apologie Paradossali

QUANDO II DOTTORE E’ UNA CAROGNA

COSTANTE PORTATADINO - 30/11/2012

Non sto parlando dei medici, della riforma del lavoro dei medici di base e nemmeno degli sperimentatori abusivi su ignari malati-cavie, tranquilli!

Eppure questa frase, il dottore è una carogna, la sentite, cari milioni di italiani, tutte le sere che dio manda in terra, da Max Giusti, il conduttore di “Affari tuoi”, il gioco dei pacchi. E state lì (come me, non lo nego) a vedere come va a finire, prolungando apposta la durata dello sparecchiamento e del riassetto della cucina.

Tutti a tifare per il concorrente, l’uomo qualunque, il potrei-essere-io, che soffre le pene dell’inferno per arraffare il pacco giusto. A me, piace il “dottore”: è logico, razionale, anche se un po’ prevedibile, nella sua tirchieria. So bene che non esiste “IL” dottore, che è una ben oliata finzione tra conduttore e regista, la vera “carogna” è l’inventore del format. Non mi interessa indagarne la vera identità, mi piace immaginarlo nella duplice veste di poeta maledetto e di psichiatra, sapete… il medico dei matti che si distingue dai suoi pazienti solo perché indossa il camice bianco. Solo un genio diabolico può immaginare un simile gioco di ruolo, sottoponendo i concorrenti ad una vera tortura psicologica (da denuncia ad Amnesty), evocando nel pubblico sentimenti nascosti, riflessi condizionati, pulsioni inconsce, tutto per tenerci aggrappati ad un nulla per mezzora!

Si è scelto la parte dell’orco delle favole, che incombe non visto fin dall’inizio, dal primo addentrarsi nel bosco dei bambinelli sperduti. Ha disseminato la strada di trappole e di inganni, di illusorie speranze, di pacchi matti, di oggetti inutili, di animali dal verso straziante, di incognite. I concorrenti, quasi tutti mesti, con storie troppo normali per non essere un po’ forzate dal copione, devono essere soprattutto rassegnati a sopportare pazientemente questa tortura psicologica che può durare settimane, prima nella funzione di tappezzeria “regionale” durante la fase di attesa, poi di essere sorteggiati e chiamati a percorrere il giro della morte sperando di diventare ricchi o quasi ricchi. Ma spesso si resta poveri come prima e pure sbeffeggiati dalla malasorte e dai parenti-serpenti: “Il cambio! Non dovevi accettare il cambio! L’offerta! Dovevi accettare l’offerta!” E come ci vai al bar se il tuo pacco conteneva 30 euro e l’altro 250.000? Viceversa, se hai azzeccato la vincita, come non cogliere nel sorrisino del barista e persino dell’amico il sospetto della combine: chissà come ha fatto a farsi chiamare, chissà come hanno fatto a dargli l’imbeccata giusta…

Ma il dottore sta al disopra di tutto questo, intangibile dalle sofferenze presenti dei concorrenti, delle loro storie pregresse di “figli della crisi”, tutti parzialmente felici, mai un vero disgraziato, ma con un sogno da realizzare, che per quasi tutti finisce con “addio sogni di gloria”. Il dottore è l’unico che gioca davvero, conosce tutte le carte, tranne le due incognite (statisticamente ancor più negative dei pacchi, per il concorrente) e non ha vincoli di sorta, se non quello di mantenere alto il livello dell’incertezza, leggasi indice di ascolto, fino al rendiconto finale, alla proposta di cambio o all’offerta, statisticamente riduttiva (meglio l’uovo sicuro oggi che la gallina forse).

Potrei-essere-io, il concorrente, invece, non ha nulla cui attaccarsi, non un indizio, non un barlume di logica nella condotta dell’avversario, da cui decifrare il suo destino. Qualcuno si aggrappa alla scaramanzia dei numeri, qualcuno alla simpatia per il collega-manichino con cui ha fraternizzato nelle lunga attesa, tutti cercano e trovano conforto nella bonomia ispirata dal faccione di Max Giusti e dalla sua conclamata avversione al dottore. Non so in quale modo i concorrenti vengano selezionati, ma mi sembrano davvero un quadretto rappresentativo dell’Italia di oggi. Non ho detto dell’italiano medio, insisto, dell’Italia, come nazione e come stato. Un po’ malconcia, quasi del tutto impotente a correggere la traiettoria del proprio destino, preda dei disegni oscuri di una potenza superiore: spread, finanza, speculazione, Europa, Merkel… E se il dottore fosse della Bundesbank? Ci farebbe mai vincere? Conviene sperare nel colpo di fortuna o mettersi d’accordo, afferrare al volo l’offerta indecente e sottomettersi? Andare avanti con l’istinto del giocatore, che va fino in fondo, quasi sempre fino a rovinarsi? (Ricordate Dostojevski?)

Affari tuoi non è una tragedia greca, ma il suo bello è che realizza nel pubblico, attraverso l’evidente sofferenza del protagonista, una specie di catarsi, di penitenza purificatoria, di identificazione simbolica con la vittima del destino (ritorna il capro espiatorio!) che per noi subisce la beffa e qualche volta, come noi vorremmo, ottiene quel colpo di fortuna che, senza nessun merito, gli fa arrivare qualche soldino. Per il popolo del gratta-e-vinci è un grande sollievo!

Ma se domani ci soffermeremo ancora sui pacchi con un occhio e mezzo orecchio, mentre siamo intenti alle faccende domestiche e se dall’altra stanza la moglie ci domanda “quanto ha perso?”, proviamo a pensare se la lotta con il destino non sia una cosa più seria e se invece della consolazione del faccione di Max, non vada cercata una risposta più soddisfacente a quelle incognite, a quelle domande nascoste che qualcuno chiama destino.

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