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Politica

C’ERA UNA VOLTA LA DEMOCRAZIA CRISTIANA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 04/01/2013

Nell’annunciare la sua “salita in politica”, Mario Monti ha intercettato la richiesta “a recuperare il senso più alto e più nobile della politica”, citando Alcide De Gasperi, il presidente della ricostruzione nazionale e leader dei cattolici democratici.

Per cinquant’anni la politica italiana è stata dominata dalla presenza di un forte partito, la Democrazia Cristiana; ma le nuove generazioni non conoscono, se non per sentito dire, tale esperienza e non sono in grado di fare paragoni con l’attuale situazione e con i nuovi soggetti politici.

La ragione per cui è nata la D.C. non è stato l’anticomunismo ma la riforma dello Stato e il rinnovamento della società.

La Democrazia Cristiana non è stata soltanto la continuazione del movimento dei cattolici democratici dell’Ottocento e del popolarismo di don Luigi Sturzo, ma una svolta epocale impressa dai giovani cattolici che avevano imparato, negli anni del totalitarismo fascista e della guerra, la lezione del personalismo di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier e avevano accolto l’opzione della Chiesa di Pio XII in favore della democrazia. Essi guardavano ad una nuova cristianità come risultante della politica, dello Stato e del rinnovamento della Chiesa: erano alla ricerca di “un nuovo cielo e di una nuova terra” (Ap. 21,1).

La D.C. ha elaborato una nuova e originale cultura politica attorno a cui ha costruito una aggregazione, una organizzazione e un partito.

La cultura democristiana è caratterizzata storicamente dalla volontà di realizzare la convivenza civile sulla base di un nucleo di principi, di valori, di idee;  la convivenza non è mai la pura e semplice regolazione degli interessi.

La D.C. non fu un partito ideologico perché l’ideologia (scienza delle idee) è una semplificazione schematica che cristallizza la realtà e ne impedisce l’evoluzione. La politica ha un senso e un finalismo se risponde a delle motivazioni interiori delle persone; pertanto ci deve essere un rapporto  tra prassi e idee, tra azione e conoscenza, tra politica e cultura. Se scompare tale rapporto la politica diventa pura gestione dell’esistente: essa non riguarda più i fini ma solo la scelta dei mezzi.

L’idea dell’unità politica dei cattolici non nacque in Vaticano ma nella mente di Alcide De Gasperi che riuscì a convincere la gerarchia di tale opportunità storica  a sostegno del nuovo regime democratico.

La D.C. fu un partito laico di ispirazione cristiana; essa non ebbe mai l’ambizione e l’autorizzazione di rappresentare la Chiesa in politica ma, essendone un autorevole interlocutore, consentì la realizzazione di una sana laicità, evitando sia il laicismo che il clericalismo. Il valore della laicità deve coniugarsi con quello della coerenza, il progetto di edificazione della “polis” non consiste nella enunciazione di principi astratti ma nello sforzo di mediazione culturale tra fede e politica, nello spirito di fedeltà al Vangelo.

La linea politica democristiana esigeva  una trasformazione strategica dell’elettorato nella condivisione di principi, di valori, di un progetto di cambiamento; la dirigenza democristiana era più avanti del suo elettorato.

La D.C. ha dovuto fare i conti con la realtà della società italiana, con i vincoli della “guerra fredda”, con la necessità di governare tra  “opposti estremismi”, in qualche caso in un clima di guerra civile, con i limiti del mondo cattolico.

Le profonde trasformazioni intervenute e il processo di secolarizzazione non si sono accompagnate con il necessario sviluppo della coscienza politica del popolo italiano. L’educazione, fatta soprattutto di gesti esemplari, è stata sacrificata alle esigenze di governabilità in una società in cui sono sempre state fragili le premesse e le condizioni di una esperienza democratica sostanziale.

La Democrazia Cristiana, dopo l’ uccisione  del suo leader Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, aveva smarrito la sua tensione ideale e la sua capacità innovatrice; senza più un’etica politica condivisa veniva meno l’orizzonte ideale di un partito che non era nato per amministrare l’esistente.

Venuta meno la forza morale si consolidarono fenomeni negativi come il clientelismo, la lotta fra le correnti, la caccia ai finanziamenti, che portarono ad una logica di privatizzazione del potere e alla disistima verso il partito.

La D.C. è crollata per due ordini di motivi: la fine del bipolarismo internazionale, che  vanificò la sua funzione di “diga” verso il comunismo, e il comportamento penalmente sanzionabile della sua classe dirigente. “Tangentopoli”  è stata la conseguenza, non la causa, di un generale decadimento etico, di un offuscamento morale che ha indebolito il senso del bene comune.  Con la scomparsa della D.C. è stata persa un’occasione storica per la “reformatio” della società, dello Stato e della cristianità.

L’esito di questo processo è stato l’avvento di un “populismo”, non come espressione cosciente del popolo, ma come manifestazione della sua diseducazione politica in cui prevale la dimensione del potere e del denaro, anziché quella della giustizia, della solidarietà e della partecipazione.

Venuta meno la griglia costituita dai grandi partiti storici capaci di pensiero, di analisi, di proposte, di formazione del ceto dirigente e di educazione degli elettori, i nuovi soggetti politici sono stati i catalizzatori di uno strisciante individualismo che il centro democristiano  aveva saputo convogliare entro gli argini di una vera democrazia. L’artificiosa polarizzazione dell’elettorato ha fatto smarrire il senso di un unico destino, contribuendo alla frammentazione della società italiana.

La Democrazia Cristiana appartiene ad una fase storica superata; non sono invece superate le sue idee, i suoi valori, il suo progetto; è soltanto venuto meno lo strumento per attuarli.

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