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Politica

LA METAMORFOSI DEL PARTITO DEMOCRATICO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 11/01/2013

Le “primarie” che hanno scelto, dopo il candidato premier, i rappresentanti del Pd per le liste elettorali hanno riservato una sorpresa: l’esito ha premiato in modo netto i “giovani turchi”, spesso del tutto sconosciuti, che sono su posizioni più radicali nei temi sociali ed etici.

Il Partito, che era nato dalla confluenza della componente post-comunista (maggioritaria) con quella post-democristiana , dopo l’abbandono di un ruolo attivo da parte di Romano Prodi e l’assottigliamento dei popolari, ridotti a ininfluente testimonianza, ha significativamente modificato la sua identità. Con la nuova trasformazione è divenuto, a tutti gli effetti, un partito di sinistra che si riconosce pienamente nella socialdemocrazia europea.

La “contaminazione cognitiva” tra le due più importanti culture politiche del nostro Paese non si è verificata e si è invece avverato il presagio di Massimo D’Alema di un’ “amalgama mal riuscito”; il partito, liberatosi dalle contaminazioni liberal-riformiste, è ora una forza più omogenea ma decisamente più spostata su posizioni radicali molto vicine a quelle del movimento alleato di Nichi Vendola.

La lotta per la “rottamazione” del vecchio ceto dirigente, iniziata da Matteo Renzi, è stata portata avanti dalla base che si riconosce in Bersani, ma diversamente dalla componente che segue il sindaco fiorentino, ciò non avviene in nome di una “rivoluzione culturale” basata sulla constatazione della trasformazione della società globalizzata, bensì su di un arroccamento intorno ai miti della “società fordista” dello scontro di classi.

Le “primarie” sono uno strumento utile di consultazione e di propaganda ma, essendo un impegno occasionale e intermittente, non consentono la crescita di una cultura politica. Inoltre il metodo democratico è certamente il migliore possibile, ma conosce dei limiti severi: il criterio quantitativo che sta alla sua base, quello di maggioranza, dà rilevanza a quelli che “sono più in vista”, non di rado a scapito dei più bravi e competenti. È un fatto che Renzi ha ricevuto il quaranta per cento dei consensi ma i seguaci del suo progetto presenti nelle liste non superano il dieci per cento dei candidati; il partito non ha infatti ritenuto di mettere in campo elementi correttivi per riequilibrare la presenza di opinioni diverse e tutelare le minoranze.

Il partito ha avuto cura di conservare ai suoi vertici nazionali uno sparuto gruppetto di ex democristiani a testimonianza della sua evoluzione, ma ha trascurato di far spazio, nella sua organizzazione territoriale e nelle strutture rappresentative, alle idee e ai valori ancora attuali del “cattolicesimo democratico”.

I “cattolici” impegnati in politica si sono in parte rivolti verso altre offerte politiche; anche in provincia di Varese i militanti di provenienza “popolare” sono lontani dal partito e, dopo l’uscita di Giuseppe Adamoli dalla Regione, la sconfitta alle urne del senatore Paolo Rossi e il mancato decollo della candidatura di Senaldi, non ci sono più personaggi di spessore culturale capaci di testimoniare i valori dell’esperienza del “cattolicesimo democratico”; a differenza dell’Ulivo non c’è nel Partito Democratico un “humus” favorevole all’impegno dei “cattolici”.

La “gens nova” del Pd è composta da trentenni e quarantenni che sono l’ala marciante della maggioranza di Pierluigi Bersani ma, essendo stati espressi dai voti della base e non scelti dalla segreteria nazionale, sono molto più indipendenti della vecchia militanza e per marcare la nuova identità del partito non hanno esitato a criticare l’ “outsider” Renzi come un “cavallo di Troia” della destra e tuttora guidano la fronda anti-Monti.

Questa evoluzione del Pd salda la nuova maggioranza con l’entroterra guidato dalla Cgil e connota in modo più radicale l’identità di sinistra del partito, riproponendo il bipolarismo dei tempi di Segni e di Occhetto cha ha contribuito alla nascita del “berlusconismo”, alla cancellazione del centro come motore della politica e allo scontro di fazioni che ha caratterizzato la seconda Repubblica. La mutazione del Partito Democratico avviene in concomitanza alla deriva del Pdl che si allinea al populismo della Lega e all’antipolitica del Movimento di Beppe Grillo.

Questa doppia mutazione può rendere più difficile ma ancor più necessaria l’alleanza con l’area Monti perché Bersani dovrà subire non solo l’ipoteca della sinistra radicale e del sindacato della Camusso e di Landini, ma anche l’insofferenza dei nuovi parlamentari che hanno raccolto consensi su una linea di forte ostilità verso le riforme attuate dal governo dei tecnici: in nome del giusto principio della salvaguardia del fattore lavoro e del “Welfare State”, rischia di tradursi in una indulgente linea assistenzialista di spesa facile.

È vero che il Pd è un partito democratico e “plurale” ma le tesi che vi si fronteggiano sono troppo stridenti e contraddittorie per non pensare agli “incidenti di percorso” che travolsero i due governi dell’Ulivo.

Alle prossime elezioni, l’ago della bilancia sarà costituito da Mario Monti il quale si è dimostrato non solo un tecnico ben preparato ma anche un fine politico che è riuscito a mettere al centro del dibattito pubblico una “agenda” imperniata sulle idee e sui programmi al posto di una demagogia fatta di slogan e di promesse irrealizzabili; una nuova offerta politica che mancava nel nostro Paese.

Monti ha costituito una piacevole sorpresa per l’Europa che ha apprezzato il suo realismo e che ha ridato fiducia all’Italia; non è “l’uomo delle tasse”, che erano già state concordate con le autorità europee dal precedente governo, ma uno statista che ha ben chiaro che la crescita non può essere fondata su una montagna di debiti, ma su una finanza oculata che sa gestire i conti pubblici, eliminare la spesa improduttiva e combattere lo scandalo dell’evasione fiscale. La sua “salita” in politica è un fatto positivo per la democrazia italiana, che viene rafforzata, e può essere l’inizio di una nuova articolazione delle forze politiche, non più secondo le ”categorie” del passato ma in linea con le esigenze della nuova società, in un nuovo assetto che superi il bipolarismo fazioso e belluino.

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