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Attualità

LA CITTÀ, L’AMBIENTE E LE IDEE RIDUTTIVE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 01/02/2013

Città compatta e fascia verde in Inghilterra

Ad ogni alternanza di stagione bastano alcune piogge intense per mandare mezz’Italia sott’acqua. L’evidenza scientifica dimostra che gli eventi meteorologici, le punte di caldo e di freddo, le siccità prolungate e i frequenti acquazzoni dipendono dall’aumento del gas serra generato dall’attività industriale che, innalzando la temperatura media, scioglie i ghiacciai perenni.

Questi mutamenti climatici continueranno se non smettiamo di abbattere le foreste, se non cambiamo i modelli produttivi e gli stili di vita.

I fenomeni rovinosi collegati agli eventi atmosferici diventano catastrofici in un Paese geograficamente fragile con l’Italia dove lo Stato e le Regioni non sono stati capaci di frenare lo scellerato consumo del suolo, la distruzione del paesaggio, l’impoverimento dell’agricoltura che non è più sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione.

Dagli anni Cinquanta la percentuale di aumento della cementificazione nel nostro Paese è progredita in misura geometrica rispetto all’incremento della popolazione; in nessun altro Paese dell’Occidente si è verificato un simile consumo del territorio: ogni giorno scompaiono cento ettari di terreno.

Oltre il sedici per cento della Pianura Padana, un tempo una delle più vaste e produttive zone agricole, è stata coperta da costruzioni che hanno alterato l’equilibrio idrogeologico; si è costruito in modo indiscriminato, persino nel greto dei fiumi, e i risultati sono le alluvioni che provocano vittime e danni rilevanti. Dopo decenni di malgoverno del territorio, in cui lo Stato e le Regioni non hanno fatto nulla per frenare l’antropizzazione dell’ambiente, il ministro ha annunciato una legge per porre un limite al consumo di suolo da parte dei Comuni che, con gli oneri di urbanizzazione, hanno colmato i buchi di bilancio. Il Presidente delle Regioni italiane, Vasco Errani, ha però messo le mani avanti: “Il territorio è un bene limitato che va conservato ma è impossibile farlo con una legge; dobbiamo essere realisti”: significa che la speculazione è più forte, ma il dissesto provoca danni per 3,5 miliardi l’anno, un milione al giorno.

Anche in mancanza di una legge sui suoli e una più adeguata disciplina urbanistica i Piani Regolatori avrebbero dovuto impedire il consumo del territorio fissando un limite all’espansione indiscriminata delle città, e Varese è diventata una provincia quasi tutta costruita dove l’indice di cementificazione la colloca al quarto posto tra i capoluoghi.

In moltissime Regioni italiane è caduta la distinzione tra città e campagna, tra spazio naturale e costruito, tra il “dentro e il fuori”.

Gli spazi tra un comune e l’altro sono stati sostituiti dello “sprawl urbano”, la disseminazione di edifici, capannoni e strade tra i paese confinanti.

Il difetto degli strumenti urbanistici è stato chiaramente la mancanza di un limite, di un perimetro urbano per i centri abitati, perché è più redditizio costruire fuori città. Questo punto fondamentale è disatteso anche dal Piano di Governo del Territorio, che sostituisce i Piani regolatori, dove lo sviluppo urbano non è programmato in modo rigido ma è flessibile per la possibilità di deroga e cambi di destinazione.

Il consumo del suolo viene affidato, più che a delle regole rigorose, alla contrattazione tra i privati (cioè le imprese immobiliari) e l’Ente locale attraverso procedure tutt’altro che trasparenti che sfuggono all’attenzione dei cittadini.

Anche a Varese, da quel poco che trapela, sembra prevalere una visione meramente edificatoria, riduttiva dell’ “idea di città” che non è fatta soltanto di edifici ma rappresenta un tutto organico composto di spazi, reti, servizi, aree che interagiscono tra di loro. Le infrastrutture comprendono tradizionalmente “ciò che sta sotto la città” (luce, acqua, gas, telefono, energia, fognature) e contribuiscono a renderla omogenea e interconnessa.

Gli interventi previsti nelle stazioni ferroviarie, anziché prevedere il raddoppio dei binari e l’ammodernamento degli impianti per trasportare più passeggeri, propongono la costruzione di edifici per i viaggiatori laddove sarebbe stato sufficiente un più snello e funzionale collegamento tra i due esistenti.

L’aumento delle volumetrie in un’area dove si incrociano i principali assi di traffico aumenterà la congestione, anche per la improvvida dimenticanza di spazi da adibire all’interscambio dei diversi mezzi di trasporto. Quella delle stazioni è una zona che influenza altre aree della città, strangolata dal traffico; un problema che non potrà essere risolto con la costruzione di altri parcheggi (persino nei pochi parchi pubblici). In Europa nessuna autorità civica sceglie più questa tipologia di interventi ma punta piuttosto sulla pianificazione urbana per abbreviare i percorsi, sulla densificazione della città e sul potenziamento dei mezzi collettivi di trasporto, comprese le linee metropolitane leggere, i tram e i filobus, meno inquinanti e meno onerosi.

Per salvare il territorio e salvaguardare la vivibilità urbana, è necessario mettere un limite alla “città diffusa”, che tende ad espandersi su spazi sempre più vasti, e puntare sulla “città compatta”, circondata da una fascia verde (“green belt”) di prati e boschi.

Anziché invadere e distruggere la campagna è meglio costruire negli spazi inutilizzati e ricostruire gli edifici fatiscenti.

Se la città trova il senso del limite, riscopre anche l’equilibrio di tutte le sue funzioni.

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