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Attualità

LA MUMMIA RACCONTA

MANIGLIO BOTTI - 01/03/2013

Diventare una star cinquemila e trecento anni dopo, una vera star, oggetto di studi e di visite da parte di esperti dell’intero pianeta. Di certo, a Ötzi – com’è ormai chiamato amichevolmente Iceman o la Mummia del Similaun –, la cosa non è mai passata neanche per l’anticamera del cervello, quand’era in vita. Ma per Ötzi il tempo vola. E anche dal suo ritrovamento nel letto ghiacciato e millenario dell’alta Val Senales a oggi sono già passati più di vent’anni.

Ötzi oggi giace – si fa per dire – in una camera iperprotetta del Museo archeologico di Bolzano. Se ne sta a circa cinquecento metri dal piacentiniano Monumento della Vittoria, oltre il fiume Tàlvera, lo stesso monumento su cui compare la scritta, poco elegante a dir poco, che vi fece incidere nel 1928 il regime fascista, in verità mai concordemente accettata: “HIC PATRIAE FINES SISTE SIGNA – HINC CETEROS EXCOLVIMUS LINGVA LEGIBVS ARTIBVS”.

Il suo corpo, posto in una posizione rimasta innaturale – forse l’uomo morì mentre stava cercando di cavarsi una punta di freccia che gli si era conficcata vicino al cuore –, è visibile attraverso una finestrella di 30 per 40 centimetri. Nella stanza viene mantenuta un’umidità del 99,6 per cento e ogni due mesi un medico specializzato gli spruzza addosso dell’acqua distillata che si congela e forma una patina protettiva. Nel caso di incendi o di qualche altra calamità poco sappiamo di quanto possa capitare ai visitatori, che saranno certamente messi in salvo. Ma di sicuro sappiamo che nell’ospedale civico di Bolzano è pronta ventiquattr’ore su ventiquattro un’altra cameretta speciale per accogliere Ötzi; lui sì che ora non corre rischi.

Sulle origini dell’uomo-Ötzi e della sua natura sono state fatte molte ipotesi e sono state raggiunte anche alcune certezze. Si sa, per esempio, che la reliquia risale a un periodo collocabile tra il 3300 e il 3200 a.C., nell’Età del rame, tra il Neolitico e l’Età del bronzo. Il suo sangue apparteneva al gruppo 0. Nel suo DNA sono stati rilevati tratti genetici comuni ai Sardi e ai Còrsi. Ancora, si sa che soffriva di malattie di cui soffre l’uomo moderno – l’artrosi e il mal di schiena, le malattie cardiovascolari – e che poco prima di morire aveva mangiato carne di stambecco. Più dura sapere che cosa Ötzi facesse da quelle parti in un tempo così (apparentemente) lontano. Era un pastore? Era un guerriero? Era un capo politico o – com’è scritto in qualche bacheca – uno sciamano? Non lo sappiamo, ma non è questo il punto.

Molto, molto interessanti, oltre alla mummia che per millenni è stata preservata dai ghiacci sono le cose che Ötzi aveva con sé, e che pure sono esposte nel Museo bolzanino, che è un museo bene ordinato e altrettanto bene costruito, e che fa onore all’Alto Adige e all’Italia, ovviamente. Non solo l’armamento – l’ascia con la punta di rame, le frecce nella faretra –, e gli abiti, e le scarpe, ma il kit di sopravvivenza che il Nostro si portava sempre appresso. Tra gli altri il “sacchettino” in cui Ötzi custodiva l’ormai divenuto famoso “poliporo della betulla”, e del mistero. Misterioso non tanto perché gli studiosi di oggi hanno stabilito che quella dotazione di farmaci – funghi o muffe – aveva (ha) poteri efficaci come antiparassitario intestinale, come antinfiammatorio e probabilmente anche come antibiotico. Tutto ciò cinquemila anni e passa prima di Fleming e della scoperta della penicillina.

E i tatuaggi, poi. Alcuni posti sulla parte bassa della colonna vertebrale, altri – molto ben visibili dalla finestrella – sulla caviglia destra della Mummia. Non erano – pare – tatuaggi “di bellezza”, come quelli che sfoggiano ai tempi nostri artisti e atleti. Ma molto più probabilmente linee di indicazione quasi terapeutiche, collocate lungo i punti dell’agopuntura, praticata ed efficace ancora oggi, specie nella cultura orientale.

Senza essere specialisti, medici o quant’altro, ma semplici osservatori e “uomini della strada”, viene da concludere dicendo che l’uomo del Neolitico o dell’Età del rame – l’amico Ötzi –, in quanto a conoscenze della natura, di sé e del mondo che lo circondava, non era uno sprovveduto. Magari alla pari – per quelli che sono i tratti fondamentali del vivere e del sopravvivere – dell’uomo contemporaneo, forse di più proprio se pensiamo alle conoscenze e all’uso dei beni che la natura ci offre.

Tale era il nostro amico. E come lui, senza andare lontani i nostri progenitori che più o meno nella sua stessa epoca abitavano sulle sponde del nostro lago.

Sono trascorsi millenni, ma la cosa – chissà perché – è consolatoria, e pensando a un volenteroso e rispettoso recupero anche di buon augurio.

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