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Editoriale

GESÙ CHE HA VINTO PER NOI

Don GILBERTO DONNINI - 29/03/2013

Non è qui, è risorto! (dalla pala della Maestà di Duccio, Siena, Museo dell’Opera)

A Pasqua celebriamo la festa in cui ripresentiamo non solo la liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù dell’Egitto (come facevano gli ebrei) ma il fatto, l’avvenimento di Cristo risorto. Cosa significa che Gesù – che abbiamo contemplato nei giorni scorsi nel momento drammatico della sua morte in croce – è tornato in vita? Resurrezione vuol dire che l’azione potente di Dio che aveva dato origine al mondo, ha ridato vita a Cristo morto e sepolto e, in lui, ha ridato vita a tutto il mondo.

Non è, però, un semplice tornare alla vita come quello di Lazzaro che abbiamo ricordato l’altra domenica, ma un intervento definitivo, un fatto che investe tutta la storia e tutta la realtà, un avvenimento che risponde ad una attesa, ad una speranza profonda che c’è dentro di noi. L’attesa, la speranza che la morte non sia l’ultima parola, che la nostra esistenza sia aperta a un futuro di gioia, di luce, di pace, di comunione con Dio che dura per sempre.

Gesù ha vinto la morte per ciascuno di noi, per tutti gli uomini e le donne di tutta la terra: ha vinto le nostre negligenze, i nostri peccati, le nostre falsità, le nostre fatiche, le nostre sofferenze, le nostre incredulità. Ha vinto tutto per noi. Ed è il nuovo inizio di tutto perché, in lui, abbiamo la possibilità di vivere da figli di Dio. A Pasqua, quindi, noi proclamiamo che Dio – attraverso suo Figlio – è entrato nel mondo, ha condiviso tutti i drammi dell’umanità e promette pienezza di vita, forza, ripresa, coraggio anche nel dolore e nella prova.

Ma forse qualcuno penserà: che senso ha celebrare la resurrezione quando il mondo continua ad essere segnato da sofferenze, banalità, odi, ostilità, violenze e guerre? Che senso ha rallegrarsi per la vittoria di Cristo sulla morte, quando la morte esiste ancora, anzi è la sola cosa sicura che noi sappiamo sul nostro futuro? Se Gesù è risorto, perché dobbiamo ancora morire? Perché tanti delitti, tante tragedie, tante lacrime?

Ebbene, è proprio per questo che celebriamo la Pasqua: la Pasqua di Gesù non trasferisce automaticamente nel regno dei sogni. Ci raggiunge nel cuore per farci percorrere con gioia e con speranza quel cammino che ha come sfondo la certezza di una vita che non muore più. La Pasqua non fa entrare in un mondo irreale, ma fa vivere un’esistenza autentica, fatta di fede, di speranza e di amore: dà il senso del vivere, ma anche quello del morire, fa capire che la vita ha un senso.

Se lo capiamo, allora la Pasqua è dentro di noi e comincia ad operare, ad agire intorno a noi e oggi la Pasqua di Gesù è in noi come sorgente di vita, come presenza che già possiamo sperimentare nella preghiera, negli slanci del cuore, nella gioia profonda che, in qualche momento, sentiamo nel nostro animo.

Evidentemente, la vita di ogni giorno va vissuta con realismo, va affrontata nelle sue difficoltà, tuttavia ormai contiene un principio incrollabile: Gesù risorto e vivo è con noi nei fatti piccoli e grandi della vita, siamo certi che ha vinto per noi il male, il peccato, la noia la frustrazione e la morte. Con lui diventiamo capaci di vincere il male con il bene: ecco la gioia e la novità della Pasqua che stiamo vivendo.

E allora potremo portare a tutti speranza e luce. L’angelo ha detto alle donne: “Gesù è risorto dai morti e vi precede in Galilea”, cioè nella nostra terra, nella nostra città, in questa città e l’invito è rivolto oggi a noi perché, sempre e dovunque, possiamo essere testimoni che il Signore è risorto e che la morte è stata definitivamente sconfitta dal suo amore.

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