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Editoriale

DOPO QUESTO PONTEFICE

Don GILBERTO DONNINI - 15/02/2013

Papa Benedetto nel tempo in cui ha maturato la sua scelta coraggiosa, deve aver vissuto un denso travaglio dentro di sé; radicato però com’è nel Signore Gesù, la luce, per quanto sofferta, è giunta pacatamente e radicalmente. Il Papa non si ritira in pensione solo per spendere il tempo che gli resta a scrivere saggi teologici, egli considera il mandato di essere pastore del gregge ben più ampio della sua stessa persona. Si considera “servo” in senso pieno e, quando il servo perde forze e vigore, allora è arrivato il momento di tirarsi indietro, non per timoroso abbandono di fronte alle difficoltà, ma per grandissima lucidità e per grande amore della Chiesa e di ciascuno dei suoi membri.

Scatta un significato nuovo di storia ricco di una grande valenza teologica: se è vero che ogni vita è nelle mani di Dio, come lo è ogni fine di vita, Benedetto XVI non attende di esalare il respiro varcando la soglia del tempo e della storia per entrare in quella dimensione di eternità che attende ogni creatura umana e, quindi, di chiudere il suo servizio con il sigillo definitivo imposto dalla morte. Egli guarda fisso il traguardo di tutti gli esseri umani, il loro cedere e prendere commiato dalla vita: il suo sguardo, però, è attratto da un altro sguardo, quello di Gesù che, ancora giovane, lo ha chiamato a seguirlo.

La storia della Chiesa e di ogni cristiano, dopo questo gesto coraggioso, acquista un nuovo valore perché esprime il suo aspetto più pieno di carità e di donazione, mentre la persona, elevata a quello che un tempo si chiamava il trono di Pietro e portava con sé fasto e onore, oggi è la grande cattedra della carità, è il primato del dono e dell’amore. L’amore, indubbiamente, si serve con amore, ma con amore disinteressato, libero, fino al punto di dimenticare se stessi e di cedere il passo a chi – chiunque sia e sarà – dovrà guidare, pensare e decidere la vita della Chiesa, quel pulsare che parte dalla presenza di Cristo risorto e che, ogni giorno, sugli altari delle comunità diventa Pane di vita.

Attardarsi a leggere tutte le possibili conseguenze politiche, teoriche, di affaticamento biologico, riduce la portata della decisione del Papa e dell’inaugurazione di una nuova libertà fra i cattolici, non più legati ad un costume che riconosceva solo nella morte (cioè nel distacco dalla partecipazione alla vita) lo scioglimento dall’incarico ricevuto, ma persone nuove, capaci di discernere quando è il momento di un cambiamento più profondo, più rapido, che ormai una persona anziana fa fatica a prendere e rischierebbe di frenare la forza del Vangelo che vuole irrompere in ogni momento e situazione della storia.

Benedetto XVI ha dimostrato un atteggiamento contemplativo, lo ha riaffermato in ogni suo discorso sottolinenando come tutto ci viene da Dio, tutto ci è donato e l’unico modo per percepirlo è quello dell’apertura alla preghiera, della comunione di amore con Dio. Ora lui risponde non con una porta blindata dietro alla quale ci si rifugia, ma con un’apertura totale, spalancata sul suo limite di persona anziana che non può essere spremuta dagli eventi, ma che questi eventi deve tenerli in mano e qualificarli.

Non si può negare che l’interrogativo che serpeggia un po’ in tutti e che molti dichiarano, si sintetizza ora in due versanti: e adesso? Chi lo sostituirà?

È importante dare risposta a queste domande e trasformare il nostro atteggiamento in una specie di toto-Papa? Sarebbe estremamente deludente giocare alle previsioni. Non sta a noi. Ci compete un atteggiamento più profondo: lasciare che lo Spirito interceda in noi e con noi, perché non sappiamo nemmeno che cosa o chi domandare. Viviamo in un tempo di grandi svolte, alcune difficili, altre grandiose: Benedetto XVI ne ha dimostrato la grandiosa gratuità.

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