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Attualità

LA COPIA DI TIZIANO AL BAROFFIO

SERGIO REDAELLI - 26/04/2013

Copie d’arte e falsi d’autore. Quando non esistevano le fotografie, non c’era altro mezzo per duplicare un’opera che farne una copia e metterla a disposizione della ricca clientela disposta a pagarla profumatamente. È il caso della Venere di Urbino, un olio su tela del 1538, conservato agli Uffizi di Firenze, che fruttò a Tiziano e ad altri artisti veneziani numerose richieste di repliche e varianti. Meno nobili sono i falsi d’autore, come la beffa delle false teste di Modigliani che fu messa a segno nel 1984 da tre goliardi livornesi. Giocando sulla mai confermata diceria secondo cui “Modì” nel 1909, in un impeto di rabbia, gettò una propria scultura nel Fosso Mediceo che attraversa la città, i tre amici decisero di far diventare la leggenda realtà.

Scolpirono una testa imitando lo stile dell’artista “dei lunghi colli” e l’affondarono nel fosso. Quando il reperto fu trovato, gli esperti lo giudicarono autentico e non fu facile scoprire la verità. Lo stesso Michelangelo commise un piccolo imbroglio nella sua prima trasferta a Roma, poco più che ventenne. Amici poco raccomandabili lo persuasero a spacciare un Cupido che egli aveva scolpito davanti ai loro occhi per un reperto archeologico e a venderlo al cardinale Raffaele Riario per 200 ducati. La truffa fu scoperta ma il cardinale anziché adirarsi lo invitò a casa, conquistato dalla sua abilità.

Anche il Museo Baroffio di Santa Maria del Monte conserva la copia di un capolavoro. Si tratta del ritratto di papa Paolo III, realizzata da un pittore anonimo alla fine del XVI secolo copiando l’originale di Tiziano oggi custodito nella Galleria Nazionale di Capodimonte a Napoli. Si tratta del primo ritratto ufficiale di Paolo III. Giorgio Vasari nella biografia del grande artista cadorino, introdotta nella seconda edizione de “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e archi tettori”, afferma che fu realizzato nel 1543 in Emilia, quando l’autore seguì a Ferrara e a Bologna la corte papale accompagnando Paolo III all’incontro di Busseto con l’imperatore Carlo V.

“Da Vasari – spiega Laura Marazzi, conservatrice del museo Baroffio – sappiamo che allora (era il 1568) del ritratto erano già “state cavate molte copie, che sono sparse per Italia”. La copia del museo varesino, di dimensioni leggermente inferiori rispetto all’originale, manca della striscia inferiore sotto la mano con l’anello. Il rosso velluto della mozzetta (la corta mantellina con il cappuccio chiusa sul davanti da una fila di bottoncini) e il velluto che riveste la sedia sono resi senza effetti di grande morbidezza. La pennellata è lontana dagli effetti vibranti di Tiziano, i colori appaiono più freddi, il chiaroscuro è più contrastato. Per queste caratteristiche la copia può essere datata tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo”.

“È impossibile elencare tutte le “duplicazioni” del ritratto di Paolo III dall’originale di Tiziano – prosegue la conservatrice – ne possiedono una copia la collezione Borromeo dell’Isola Bella sul Lago Maggiore, la collezione Monti in parte confluita nella Galleria Arcivescovile di Milano, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze, la quadreria della Cattedrale di Toledo, la Galleria Barberini e la Galleria Spada a Roma. La stima precocissima conquistata dal quadro è testimoniata dalla lettera che Pietro Aretino, letterato umanista amico di Tiziano, gli scrisse nel luglio del 1543: “La fama (…) si piglia cotanto gran piacere in pubblicare il miracolo fatto dal vostro pennello nel ritratto del pontefice (…), che mai non fornirebbe di trombeggiare il come egli è vivo, il come egli è desso e il come egli è vero”.

Paolo III, al secolo Alessandro Farnese (1468-1549) doveva essere un papa di transizione nelle intenzioni del conclave che lo elesse e invece regnò quindici anni imponendo la ripresa del Concilio di Trento. Fu precursore della riforma, istituì il Sant’Uffizio per vigilare sulla genuinità della fede, incoraggiò i nuovi ordini religiosi (Cappuccini, Barnabiti, Orsoline, Somaschi) e confermò i Gesuiti. Tiziano, sublime ritrattista dei grandi regnanti, lo raffigura di tre quarti seduto sulla sedia posta in diagonale, l’intenso sguardo direttamente a colloquio con il nostro. Sono gli occhi vivi ed espressivi di un vecchio saggio dalle mani ossute, ancora vigorose. È un papa di settantacinque anni al culmine del pontificato, consapevole della sua alta dignità, animato da una ferma volontà di potere.

“I ritratti di Tiziano sono istantanee fulminanti della psicologia dei personaggi che raffigura – aggiunge la Marazzi – Straordinarie summae visive del carattere, dello status sociale e del ruolo politico. Altri quadri di Tiziano per il papa Farnese sono il Ritratto di Paolo III con il camauro (1545–1546, olio su tela, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte), in precario stato di conservazione, simile nel taglio compositivo al ritratto di Paolo III a capo scoperto. E il Ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio (1546, olio su tela Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte), forse il più famoso dei tre”.

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