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Attualità

QUEI TRENI DEI DESIDERI

MANIGLIO BOTTI - 04/10/2013

Il corrispondente storico della Prealpina dalla Valceresio Angelo Sala, o suo figlio Roberto che l’ha sostituito più che degnamente nell’incarico giornalistico, aveva fatto una miniricerca dalla quale risultò che già nel 1901 si parlava della necessità di un collegamento ferroviario tra la Svizzera e l’Italia, attraverso Arcisate e da lì, quindi, a Varese. Il famoso tratto Mendrisio-Stabio-Arcisate, insomma. Poco meno di una decina di chilometri, alcuni anche in galleria oltre la valle della Bevera.

In seguito, prima e dopo le due guerre mondiali, sono stati in diversi a intervenire, sempre favorevoli, entusiasti del progetto. Ricordiamo tra gli altri il mitico ingegnere d’adozione varesina Antonino Mazzoni: chissà quanti i convegni organizzati, le lettere inviate; il bravo ingegnere morì all’età di 103 anni senza che vedesse battere un chiodo sui binari delle valli del Ceresio.

Le ragioni per cui si caldeggiavano in quelle epoche trascorse i lavori del supplementare tratto ferroviario erano le stesse per le quali s’è iniziato a lavorare quattro anni fa, nel 2009, facendo suonare le trombe di Gerico della concretezza, e magari anche della novità, nonostante l’idea fosse stata partorita quando in Italia era presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli: dare la possibilità agli svizzeri e ai varesotti (anche se allora Varese era in provincia di Como, ma pur sempre terra insubrica…) di scambi più frequenti e veloci, pensando nelle nostre zone soprattutto al turismo.

Se la bretella ferroviaria era considerata utile allora, figurarsi adesso, nel momento in cui lo sviluppo convulso, caotico e logaritmico del traffico su gomma ci ha riportato ai tempi e agli orari delle diligenze. Stavolta l’occasione per operare senza più remore sarebbe stata l’Expo milanese del 2015, il grande evento su cui tutti ripongono speranze, e il bisogno di collegarsi via treno con l’aeroporto di Malpensa.

Gli svizzeri hanno provveduto con l’abituale celere regolarità a fare (e a scavare) la loro parte, vale a dire senza grane apparenti e con una spesa rimasta tutto sommato nelle stime. Da noi i lavori sono andati – non stanno andando, cioè – come forse non era neanche difficile prevedere: polemiche; alti e bassi, più i bassi a quanto risulta, con le imprese; fino allo stop di questi giorni dove si scopre che gran parte del guaio deriva dal fatto che i terreni di scavo da smaltire sono “ricchi” di arsenico. Dunque, tanti altri soldi da spendere, molti di più di quanto si pensava. L’Expo del 2015 – ormai è cosa certa – si farà senza questa bretella ferroviaria giudicata strategica.

Di un’altra opera infrastrutturale considerata importantissima in Lombardia e nel Varesotto, la Pedemontana, ho un ricordo personale di cronista che risale al 1970, quando i giornali e i giornalisti furono convocati (dai politici e dagli amministratori dell’epoca) alla palazzina dell’Azienda autonoma di soggiorno, nel piazzale dell’Ippodromo a Varese. Fu proiettato un filmato, furono distribuiti disegni e progetti, si raccolsero pareri così chiari che la Pedemontana sembrava cosa fatta e completata, da lì a pochissimi anni. Unico punto nebuloso quello dei denari occorrenti.

Non si fece nulla, come poteva ipotizzare un giornalista più esperto e di buon senso, e non un giovane ingenuo come il sottoscritto. Altri articoli furono redatti nel prosieguo, tanto che la Pedemontana diventò in breve una di quelle notizie-palestra nelle quali si sono cimentati un po’ tutti i cronisti dell’urbe varesina: l’inquinamento del lago, il Sacro Monte e lo smantellamento e il ripristino e poi forse ancora lo smantellamento delle funicolari, il teatro che c’era e che è rinato provvisorio, anzi no…

Ora che i lavori della Pedemontana, almeno nel tratto varesino, si stanno facendo, anche qui con molte precisazioni e “stop and go”, incrociamo le dita per scaramanzia. È un fatto, tuttavia, che ancora oggi un varesino che deve andare a Como (trentatré chilometri di distanza da piazza a piazza) ha principalmente due opzioni: la strada Briantea con eventuale deviazione sulla Garibaldina e l’entrata e l’uscita dalla Svizzera con la discesa su Como passando da Chiasso. Tempi di percorrenza: quaranta minuti se va bene, anche un’ora e un quarto, un’ora e mezzo se va male. Non parliamo, per carità, di altri obiettivi raggiungibili, come le terre brianzole, le lecchesi, le bergamasche, distanti al massimo un’ottantina di chilometri. Meglio prendere una giornata di ferie.

La morale dello stato di fatto (o non fatto) è che ai tempi odierni non esiste più un’opera – specie se si tratta di una grande opera – che si deve dare per pensata e fatta. E restiamo sempre nella nostra piccola provincia, perché altri esempi (il ponte sullo stretto di Messina) ci porterebbero troppo lontani, troppo a Sud.

Le decisioni delle maggioranze politiche e dei cittadini sono vanificate dalle proteste delle minoranze, che a loro volta possono diventare maggioranze e decidere diversamente da prima, ma senza che poi nulla cambi perché trovano sulla loro via la minoranza ex maggioranza che per puro spirito polemico adesso dice di no. È una spirale. E così si va avanti. Cioè, non ci si muove mai.

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