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Spettacoli

JIMMY, IL MITO

MANIGLIO BOTTI - 08/11/2013

A quasi sessant’anni dalla scomparsa – avvenuta alle 17.50 del 30 settembre 1955 a Cholame in California all’incrocio tra la Highway 45 e la Highway 46 – James Dean è ancora un mito, un grande del cinema. Come Marilyn, come Bogart, come Steve McQueen. Sugli schermi per l’eternità. Se Jimmy fosse vivo, oggi, avrebbe ottantadue anni. Era quel che si dice un caratteriale, era molto miope – doveva guidare l’auto con gli occhiali ma in quel tragico pomeriggio non li aveva – e di statura media, intorno al metro e settanta o giù di lì. L’incedere del tempo avrebbe inevitabilmente portato o accresciuto i guai e gli acciacchi, come per tutti. Ma la vecchiaia l’ha risparmiato e secondo il detto già noto tra gli antichi – Muore giovane chi è caro agli dei – James Dean s’è assiso in uno dei posti privilegiati dell’Olimpo: il ciuffo biondo e perennemente ribelle, la sigaretta penzolante dalle labbra, lo sguardo sempre intenso e malinconico e diretto verso un orizzonte lontano.

I film che hanno reso famoso Jimmy – a parte una serie di particine che nessuno però ricorda, se non qualche forsennato collezionista della memoria – sono soltanto tre: La Valle dell’Eden (East of Eden, 1954), di Elia Kazan; Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1954), di Nicholas Ray e Il Gigante (Giant, 1955), di George Stevens. Sono tre perle incastonate nella storia del cinema e nella vita breve di Jimmy, e su ognuno – e sull’exploit recitativo di Jimmy – si potrebbe scrivere un libro. Ma è soprattutto al secondo – Gioventù bruciata –, un film riproposto ancora dalle Tv, quasi in modo seriale, che James Dean deve la sua grandezza. Il titolo in lingua inglese – Rebel without a cause, Ribelle senza causa, o senza motivo – dice qualcosa di più di quello in italiano. Jimmy, qui sta la sua forza, in quello e negli altri due film, ma soprattutto in Gioventù bruciata, non rappresentava altri che sé stesso: la rabbia – e le speranze – di un giovane (gli Stati Uniti erano da pochissimo usciti dalla guerra di Corea), il senso eterno della ribellione generazionale. I giovani contro i vecchi e contro tutti. Senza un perché, soltanto per il fatto di essere giovani.

Non solo: Gioventù bruciata, insieme con un altro film della stessa epoca: Il seme della violenza (Blackboard Jungle, 1955), di Richard Brooks, con Glenn Ford, fu il film del rock and roll, dei jeans risvoltati, dei giubbotti di pelle, della moda che da noi fu detta dei Teddy boys, dove la ribellione si spostava dalla vita alla musica che – s’è già detto più volte – con essa fa tutt’uno. Da allora Gioventù bruciata, per tutte le ribellioni e per un genere di film e di mode, musicali e no, è stato un punto di partenza, un faro che gettava sempre robusti fasci di luce. Si pensi, per esempio, a opere in un certo senso più leggere, in quanto a drammaticità esistenziale, tipo la serie televisiva di Happy Days o ad American Graffiti, di George Lucas, che è del 1973, un film di quasi vent’anni dopo.

Nella morte di Jimmy ci fu del metodo, cose che hanno sedotto e affascinato: la ricerca della fine, tanto da far dire a qualcuno (anche alle società di assicurazione) che il giovane attore si era voluto suicidare forse in seguito a una delusione in amore, e la velocità, fermata sul tachimetro a novanta chilometri l’ora, bruciati all’incrocio. Un carro di fuoco: i rottami della Porsche 550 Spyder con cui James Dean si schiantò, e con la quale era diretto a Salinas per una corsa in auto, furono per lungo tempo oggetto di culto; la carcassa della vettura fu messa in mostra per il pubblico e si racconta che l’espositore “rinfrescasse” ogni tanto le macchie di sangue con della vernice rossa.

Anche il seguito della morte di Jimmy, com’è accaduto per tanti altri miti del cinema, è stato segnato dalle dicerie. Di ogni genere. Ma un fatto straordinario, a un certo punto, fu il diffondersi della voce che il giovane attore non fosse morto: l’incidente era stato tutto un trucco, e Jimmy, all’apice del successo, aveva voluto ritirarsi per non offrirsi più “in pasto” alla gente e ai media. Molti fan sottoscrissero questa leggenda. Anche le visite nel salone in cui era stata esposta la vettura disastrata si diradarono, al punto che le forze di polizia dovettero pubblicare un comunicato con il certificato della morte e dell’autopsia.

Jimmy era un predestinato? Chissà, ognuno in fondo è portatore in sé del proprio destino che piano piano, più o meno inconsciamente, contribuisce a costruire. Tre giorni prima dell’incidente, così si racconta, Jimmy andò a casa dal regista del Gigante George Stevens e gli volle chiedere quando il film sarebbe stato proiettato: “Non prima di novembre, c’è ancora molto da fare”, disse il regista. “Peccato, non potrò vederlo”, fu la risposta di Jimmy.

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