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Attualità

IL MISTERO SILENZIOSO

GIAMPAOLO COTTINI - 19/12/2013

Anche quest’anno il Natale ci raggiunge come all’improvviso, atteso eppure non sufficientemente preparato, in un momento storico di crisi che rende difficile al cuore aprirsi alla gioia che la venuta del Signore merita. Come si può infatti gioire mentre il lavoro manca, la povertà aumenta, le risorse delle famiglie diminuiscono, e l’orizzonte del futuro appare tetro e più gravido di incertezze che di speranza?

È quasi come se non ci accorgessimo della novità che da duemila anni si è introdotta nel mondo con la nascita di Cristo e cercassimo al massimo di attaccarci ai segni esteriori di una nostalgica tradizione, avendo dimenticato le ragioni della gioia legata all’avvenimento del “farsi vicino” di Dio, affinché l’uomo potesse avvicinarsi a Lui.

Scrive Sant’Agostino in un suo sermone natalizio: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo si facesse Dio” e ancora “il Creatore dei tempi è nato nel tempo e si è fatto tanto piccolo da poter essere dato alla luce da una donna, rimanendo tanto grande da non poter essere separato dal Padre». In questo paradosso, incomprensibile al “pensiero unico” del nostro tempo che omologa tutto in un’indifferente pensiero dell’identico, sta tuttala Verità cristiana così simile a quanto l’uomo può comprendere e al tempo stesso così infinitamente trascendente le sue aspettative: è il Mistero dell’Incarnazione per cui nel piccolo bambino di Betlemme la grandezza della divinità si rende della stessa stoffa dell’umano, senza perdere nulla della sua incommensurabilità divina. Così la vicinanza e la distanza di Dio si uniscono nell’avvenimento di questa nascita, stabilendo un legame nuovo che non è frutto della ricerca dell’uomo ma deriva dal venirgli incontro di Dio stesso.

La radice della gioia deriva proprio dal fatto che ciò che conta non è il legame che riusciamo a istituire con Dio ma è il legame che Dio istituisce con noi, allargando l’orizzonte della nostra esistenza, come dice bene Papa Francesco quando afferma che “la fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma è la dilatazione della vita, una lampada che guida nella notte i nostri passi”; perché “Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna”. Perciò a Natale non si può essere tristi perché l’imperativo della gioia non deriva dai risultati del nostro fare, ma dallo stupore della contemplazione di quel mistero che silenziosamente si introduce nella vicenda umana. La gioia natalizia non è l’esplodere di un’allegria senza senso, ma il crescere di quella certezza che invase i pastori quando si commossero per la nascita di quel Bimbo.

È riduttivo considerare il Natale solo come una festa dell’infanzia, dal sapore dolciastro e un po’ fiabesco: è invece la celebrazione dell’inizio della concreta possibilità per l’uomo adulto di sperimentare una vera pienezza di vita, che da allora si rende incontrabile come un bene disponibile a tutti nella tenerezza dell’amore.

Nella nascita di Cristo, avvolta dall’amore di Maria nel silenzio di quella notte di Betlemme, rinasce la possibilità per tutti di amare e di essere amati: come dice Papa Francesco “Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza”. Il Natale non è il giorno dei buoni sentimenti o di una banale solidarietà temporanea, ma è la certezza del superamento dell’estraneità tra uomo e uomo per la presenza di un Dio che non è più lontano ma si è “fatto” uno di noi.

Da qui riparte anche la possibilità di costruire una vita buona fondata su relazioni virtuose, come dice il Cardinal Scola, perché anche se l’uomo è fragile e debole, può offrire tutto all’altro secondo la logica del puro dono riconoscendo di aver ricevuto tutto. Il Natale è la festa del dono innanzitutto di sé, e la gioia non è solo riconosciuta per i regali fatti o ricevuti (come sembrano lontane le critiche al natale consumistico che risuonavano solo fino a pochi anni fa nei discorsi un po’ moralistici di tanti opinion makers alla moda!): la gioia vera rinasce nel silenzio in cui si gusta la tenerezza di un Dio che ama senza chiedere nulla in cambio se non la libertà dell’uomo, in un abbraccio che esprime l’affetto per ogni io nella sua singolarità unica, e che può esprimersi nello scambio di doni tra gli uomini, ma è fatto soprattutto del reciproco ricordarsi del destino buono cui ciascuno è chiamato dal Mistero di quella notte santa nella grotta di Betlemme.

Il gaudio del Vangelo di cui parla Papa Francesco è la testimonianza di una gioia più grande di ogni fatica quotidiana, di ogni dolore che ci attanaglia, persino dell’indifferenza di cui saremmo tentati: ma non è gioia qualunque perché si radica nella certezza che Dio ci ha ritrovato prima che potessimo cercarlo e lo ha fatto nel modo più umano ed anche più divino: un Figlio che nasce per risorgere e mostrare per che cosa siamo fatti. Perciò non si può essere tristi, perché tale tenerezza ci è data: basta solo guardare, ascoltare e lasciarsi sorprendere.

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