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Società

IL PRETE CHE CELEBRA LE POVERTÀ

LUISA OPRANDI - 10/12/2011

 

Un sacerdote in prima linea, pronto a leggere i tempi con l’entusiasmo di chi affronta il nuovo come grande opportunità di crescita e di speranza: don Ernesto Mandelli cappellano delle ACLI negli anni della rivolta studentesca, don Ernesto Mandelli accanto ai migranti e alle famiglie in difficoltà, don Ernesto Mandelli che ogni anno nella sua parrocchia di Lissago organizza il pranzo natalizio con le persone disagiate, sole o schiacciate dalla povertà.

I suoi passi chiari e decisi hanno segnato il nostro territorio di orme ben visibili. I suoi pensieri, limpidi e trasparenti, sono diventati scelte concrete, gesti di fraternità e solidale vicinanza. Le sue parole, altrettanto ferme e risolute, hanno colmato a volte tanti assordanti silenzi. Come quando due anni fa scrisse agli uomini e alle donne della Lega invitandoli a riflettere sul senso della loro avversione verso chi è diverso “dapprima i meridionali, poi gli Albanesi e via via altri gruppi di stranieri, compresi Rom e Musulmani”, persone che la propaganda filopadana aveva messo al centro dei propri slogan populistici.

Rivolgendosi ai leghisti don Ernesto diceva: “Sono stato educato, fin da ragazzo, a pensare che il mondo intero è il luogo dove tutta la umanità deve poter vivere. Infatti tutti i popoli nella storia sono stati migranti. Ora navi e barconi carichi di disperati mi pare dovrebbero anzitutto suscitare comprensione e solidarietà. Fin da piccolo ho respirato questo modo di pensare e di sentire, che fa parte di una fede cristiana, non tanto detta, ma soprattutto vissuta”.

L’intensa attività pastorale con i migranti ha intessuto la sua storia personale di tanti incontri con persone di origini etniche differenti, dentro una pluralità di culture che è stata sempre occasione di grande ricchezza per lui e per le nostre comunità. Richiamando direttamente il messaggio del cardinal Martini che definiva il fenomeno migratorio “un segno della Provvidenza”, ha costantemente puntato lo sguardo, accompagnandovi anche il nostro, verso il desiderio di una fraternità universale, così vicina al messaggio cristiano e così distante dalle divisioni e da ogni forma di autodifesa di ciò che è autoctono, noto e conosciuto.

Don Ernesto è stata ed è la voce di tante persone che a fatica masticano poche parole della nostra lingua, è stato ed è il sorriso per occhi spenti dalla fatica e dalla nostalgia della propria terra e dei propri affetti. Ma è anche stato il prete “scomodo” per tante coscienze assopite dietro il velo della paura del diverso, scuotendone le finte certezze con la Bibbia aperta tra le mani: “Il Signore protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova ma sconvolge le vie degli empi” (Salmo 146,9) o riprendendo le parole dei primi cristiani che cantano “ogni terra è la nostra patria e ogni patria è per noi terra straniera”.

Dopo oltre cinquant’anni di sacerdozio don Ernesto ha da poco assunto l’incarico di cappellano del Molina, la casa cittadina di ospitalità per gli anziani. Un altro modo di essere prete con chi è nella fatica. Non sarà diverso il suo stile, né verrà meno la sua tenace determinazione, capace di contaminare positivamente le persone che incontra e le tante storie che si incrociano con la sua.

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