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Apologie Paradossali

CON LE SPALLE AL MURO

COSTANTE PORTATADINO - 18/04/2014

Ritornare al punto zero, proprio non mi va giù. Non solo per le rampogne dell’amico Conformi, ma per l’ovvia considerazione che se non si migliora, inevitabilmente l’andar del tempo ci riporta pian piano alla polvere originaria, uomini e cose. Sono quindi particolarmente felice di aver incontrato un gruppo di studiosi e di operatori competenti che si è dato il simpatico nome: “I costi del non fare” (alias CNF, rintracciabili su Internet)  . Le loro ricerche e proposte mettono in luce in modo chiaro e comprensibile a tutti il costo, inteso come spreco di risorse, non necessariamente come mancato guadagno, dell’indecisione e della lentezza realizzativa delle opere pubbliche, in particolare di quelle infrastrutturali, più in generale di tutto ciò che è di utilità comune e non rientra nell’autonomia decisionale di un investitore privato. Dalle ferrovie all’energia, dalla gestione dei rifiuti alle reti di comunicazione a banda larga, gli studi di CNF ci suonano una sinfonia di numeri negativi impressionanti: dal 2009 al 2024 i costi del non fare nel solo settore delle infrastrutture costerebbero alla collettività non meno di 380 miliardi di euro, più o meno quanto varrebbero tutte le leggi finanziarie da oggi ad allora.

 “E dunque, cosa aspettiamo?” direbbe il Conformi. Almeno tre condizioni debbono maturare perché lo scopo possa essere raggiunto.

Primo, che l’istituzione promotrice sappia quello che vuole e percorra velocemente i passaggi “politici” necessari. Mi spiego: nel mosaico dei contrasti tra i livelli, Stato, Regioni, Province, Comuni e altri enti specializzati (parchi, autorità di bacino, Enti portuali ecc.) quello che vuole uno contrasta con gli interessi dell’altro o, peggio, con il differente colore politico, cosa che induce un ente ad ostacolare l’altro. Occorre quindi che la politica faccia il proprio mestiere di creare le condizioni affinché si attui il bene comune.

Secondo: che la progettazione sia adeguata, tecnicamente ed economicamente. Sappiamo bene che gli operatori seri, anche italiani ma soprattutto stranieri temono le “sorprese” in corso d’opera e sappiamo altrettanto bene che gli operatori non seri, quelli che vincono le gare con ribassi eccessivi sperano invece proprio nelle “sorprese”, per rifarsi con le varianti in corso d’opera.

Terzo: che ci siano i denari; e qui rischia di cascar l’asino, ben peggio di quello di Bertoldo, perché questi denari non c’erano prima, figuriamoci adesso!

Ma i bravi studiosi di CNF ci dimostrano che non è così. Messi intorno al tavolo i principali banchieri italiani e la Banca Europea degli Investimenti, ci hanno dimostrato la reale disponibilità delle istituzioni finanziarie ad investire, a patto che le prime due condizioni descritte siano rispettate: certezza dell’impegno politico e quindi dei tempi realizzativi e qualità progettuale.

“Dici niente!” mi sussurra all’orecchio Sebastiano “e aggiungi la burocrazia, che il Renzi gli ha dichiarato guerra, ma mica ce la può fare.”

Io, invece, per una volta, sono ottimista. Non perché confidi nella nuova virtù della politica, ma proprio perché non possiamo più permetterci di sbagliare. Lo vediamo nel nostro piccolo mondo varesino: i cantieri della Arcisate-Stabio e della Pedemontana, la caserma Garibaldi e il teatro, il parcheggio alla Prima Cappella e in generale l’accessibilità al Sacro Monte ci stanno mettendo con le spalle al muro. E con le spalle al muro non c’è solo Varese, c’è l’Italia e, anche se Angela non lo sa, l’intera Europa. Se non possiamo sbagliare, meno ancora possiamo permetterci di non decidere, sarebbe uno sbaglio ancora più grosso e garantito. Criticare, confrontarsi, ma decidere. Mi piace ricordare che le voci critiche che si sono levate attraverso RMF non sono mai state pregiudiziali, ma hanno cercato di offrire una soluzione alternativa e migliore.

Spero che chi deve decidere ne tenga conto, ma dia valore principalmente alla qualità delle critiche, piuttosto che al numero delle firme e, di conseguenza decida.

“È la democrazia, bellezza!”, mi grida Sebastiano dalla porta, “vado perché ho da fare”. Per una volta siamo d’accordo.

 

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