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Politica

QUANDO CADDE IL VECCHIO ORDINE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 02/05/2014

Ottobre 1992: Martinazzoli, eletto segretario della Democrazia Cristiana, riceve le congratulazioni di Arnaldo Forlani.

Vent’anni fa, tra il 1992 e il 1994, è finita la prima Repubblica, quella dei partiti storici; sembrava una costruzione solida è invece si è sgretolata come un castello di sabbia. Il suo esito non cessa di stupire, la sua fine improvvisa è per molti aspetti avvolta in un enigma. Quel che è certo è che essa non fu sconfitta per la forza dei suoi molti nemici ma cadde per la sua debolezza.

I cicli della politica italiana durano troppo a lungo ma all’improvviso cessano bruscamente. Aldo Moro, l’ultimo grande statista italiano, aveva orgogliosamente affermato: “non ci faremo processare sulle piazze… non sottovalutate la grande forza dell’opinione pubblica che trova nella Democrazia Cristiana la sua espressione e la sua difesa”. Invece nel giro di pochi mesila DCscompare in seguito all’iniziativa dei giudici che mettono sotto processo la dirigenza e dell’opinione pubblica che vuole il cambiamento, invoca giustizia (sommaria) e pretende vendetta. Ancora oggi, trascorsi due decenni, risulta difficile condividere la memoria di quello che è accaduto.

Certo, il livello di corruzione era alto ma limitato all’esigenza di finanziare le esangui casse dei partiti non ancora beneficiati dall’abbondante finanziamento pubblico; la classe politica non era riuscita a trovare un esito e una conclusione alla necessità condivisa di svecchiare il nostro Stato, di affrancarlo da un pesante debito pubblico generato dalla allegra gestione degli anni Ottanta, di renderlo più efficiente.

Ma la promessa rivoluzione giudiziaria e politica, che avrebbe dovuto rovesciare il vecchio ordine,

si rivelerà di lì a poco un falso storico. Cambiano le regole, con il bipolarismo il gioco diventa più pesante, i vecchi personaggi di primo piano vengono rimossi ma resistono quelli delle seconde e

terze file; la sostanza della politica rimane quella di prima, anzi è peggiorata nella struttura economica e nella moralità della vita pubblica. Si avvera la profezia del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: “occorre che tutto cambi perché tutto rimanga come prima”.

La corruzione è un malcostume diffuso, ancora più sfrontato; la magistratura diventa una forza politica influente. Lo Stato dei partiti, dopo aver occupato la società civile, viene da questa penetrato e soggiogato. La “gente”, aggregazione individualistica plasmata dalla televisione e dal consumismo, prende il posto del popolo, come insieme organico legato da reciproci rapporti e disciplinato nelle associazioni e nei corpi intermedi. Si diffonde il discredito delle istituzioni, il principio della rappresentanza che aveva consentito alla democrazia di diventare universale viene contestato, i partiti sono travolti dalla personalizzazione della politica, la democrazia viene modificata dalla deriva plebiscitaria.

Per anni il potere democratico aveva dovuto fronteggiare la sfida che veniva portata dalla sinistra ma l’esito derivante dal crollo del sistema è sorprendente: ritorna a galla e si impone al potere la destra, non quella conservatrice e liberale di modello europeo, ma quella arcaica del familismo amorale, delle corporazioni e delle cosche mafiose che vuole abbattere tutti i legami ad un mercato che si autoregola. Si avvera il rischio che De Gasperi aveva sempre paventato, quello di una destra sostenuta dall’individualismo e dalla mancanza di senso dello Stato delle masse popolari disinformate e incolte.

Vent’anni di apparenti novità, con i Segni, i Bossi e i Berlusconi che invece di governare, sfruttano il populismo secondando gli umori contradditori delle masse, portano l’Italia a un pauroso degrado; le risorse e le occasione, come l’entrata nell’Euro che poteva assicurarci un vantaggio competitivo, sono buttate via; l’Italia è rimasta ferma ai livelli degli anni Novanta.Di fronte alla sfida del populismo dei nuovi soggetti politici, il ceto democristiano non risponde e non reagisce, si divide, cerca di salvare il potere personale e abbandona la bandiera dello scudo crociato. La gerarchia offre un iniziale sostegno al partito cristiano ma poi si volge al “berlusconismo”, alle sue lusinghe di favori, tollerando la sua dubbia moralità nella gestione pubblica.

Questa resa collettiva appare come una nemesi inspiegabile di una classe dirigente che aveva dimestichezza con il potere, e che si scopre improvvisamente afona e che invece di ammettere i propri torti, che non sono pochi, rinuncia a difendere le sue ragioni che sono molte e che costituiscono una eredità preziosa del movimento democratico cattolico. Il nobile tentativo di Mino Martinazzoli di riappropriarsi del pensiero di don Sturzo non viene capito e considerato passatista, non dice nulla ad una società che si è profondamente trasformata, ha abbandonato il “modello fordista” è diventata “postmoderna”.

Dallo sfacelo si salva soltanto il Partito Comunista che non era meglio degli altri ma che non si era esposto nelle responsabilità di governo; deve però cambiare nome e dimenticare una parte importante della propria storia. Si illude che la caduta della DC spiani la via verso il potere alla “gioiosa macchina” di Occhetto, ma sarà Berlusconi a conquistare il favore delle masse.

Dando ragione a una protesta che si poteva contrastare in nome dei principi, la politica diventa più conflittuale, nonostante la caduta delle ideologie, e il potere perde la sua aurea di sacralità. Soprattutto rinuncia ad un riferimento etico, perde il contatto con le grandi culture politiche e con un grandioso apparato di pensiero, frutto dell’esperienza democratica, rinuncia a immaginare un nuovo modello di società e si limita a gestire l’esistente.

Il campo della politica si è ristretto e la democrazia si è impoverita. Il “nuovo” non sa trovare le risposte giuste alle molte crisi (economica, politica, morale) in cui si dibatte il Paese e lascia spazio a forme nuove di protesta, di demagogia, di contestazione radicale. Una società scontenta, inquieta, spaventata per l’incerto futuro non vuole (o non è in grado) di guardare un faccia alla realtà e continua a sperare in un improbabile “nuovo inizio”.

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