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Storia

ANCHE I PARROCI SNOBBARONO I BANDI

FRANCO GIANNANTONI - 09/05/2014

Per chi non si fosse presentato in caserma entro il 25 maggio 1944 il rischio era di essere fucilato. Valeva per i ragazzi già avanti con l’età, fra i 27 e i 29 anni, le classi dal ’15 al ’17 visto lo scarso risultato ottenuto con giovani del ’24, del ’25 e del ’26. Bene o male la scalcagnata repubblica del duce doveva disporre di un proprio esercito e il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, il “macellaio” d’Etiopia, lo aveva assolutamente previsto. In caso contrario si sarebbe dimesso. Il decreto è del 18 aprile. Vale anche per chi si fosse per caso unito ai partigiani e intendesse ora avere salva la vita. Fra l’altro anche il bando di chiamata per le donne da far confluire nel Corpo ausiliario non aveva dato i risultati desiderati.

Tutti hanno una paura folle e la vicina frontiera con la Svizzera funge da irresistibile calamita. Dall’Archivio federale di Berna esce infatti un risultato sconcertante ma sicuro della viltà di molti. Dalla città di Varese dopo l’8 settembre sono entrati in Canton Ticino ben 999 giovani e meno giovani. Studenti ed operai, professionisti e militari.

Salò preme sulle famiglie minacciando di togliere le tessere alimentari. A “Cronaca Prealpina” diretta da Angelo Arrigoni, vice di Niccolò Giani alla Mistica Fascista, giungono appelli strappalacrime con la preghiera di pubblicarli. Podestà e Federale giocano sul senso dell’onore, c’è anche spazio per un “bando del perdono” cioè la tolleranza di qualche giorno per i distratti e per gli indecisi.

Ma la propaganda – questo è il colpo di genio – punta anche sul clero e questa è la novità e assieme il segno della disperazione. I poveri parroci, già alle prese con problemi di sussistenza per la gente che non ha più da mangiare in un territorio che ha visto la popolazione crescere in pochi mesi di duecentomila unità per gli sfollamenti dei milanesi colpiti dai bombardamenti anglo-americani, non sanno che pesci prendere. I manifestini con l’invito a presentarsi in caserma vengono distribuiti in ogni parrocchia.

Scrive il federale provinciale Renzo Migliorini, un aviatore triestino, ai podestà e ai commissari prefettizi, in preda allo sconforto il 15 maggio, dieci giorni prima che il bando scada: “Le autorità ecclesiastiche saranno da voi convocate separatamente e spiegherete come sia umano il gesto del Duce nel suo alto lato cristiano che dà modo di ravvedersi e ottenere perdono. Chiedete che sia fatto nel giorno dell’Ascensione appello alle madri e ai familiari per redimere eventuali figli”.

Il richiamo al clero dovrebbe essere la carta vincente in una provincia molto religiosa. Ma l’esito è pessimo. Fugone generale. I parroci serrano le porte delle chiese, celebrano le funzioni religiose e semmai danno una mano ai renitenti e i vestiti civili ai partigiani. Di fascismo, soprattutto i preti di campagna e di montagna, non vogliono sentire parlare. C’è chi con coraggio evita di benedire i gagliardetti cancellando i brutti esempi del ventennio.

Enrico Fazzini, commissario prefettizio di Luino, non perde tempo e con una lettera invita i parroci della zona a darsi da fare “toccando opportunamente il delicato argomento”. Il 16 maggio a stretto giro di posta don Enrico Longoni, vicario foraneo della città, fa sapere che “i Reverendi Parroci del Comune di Luino ritengono che non sia in loro facoltà aderire alla richiesta di V.S. illustrissima”. Gli fa eco il parroco di Germignaga don Primo Reina affermando che in paese non ci sono giovani chiamati alla leva e chi lo fu è già sul fronte”. Meno perentori, anche se il succo non cambia per niente, sono gli interventi dei sacerdoti di altre zone. Pigliamo il Bustese dove il prevosto di Busto Arsizio monsignor Giovanni Galimberti glissa sul tema, assicurando comunque “che i bambini pregano per la Patria e per i soldati”. La stessa musica da Gallarate a Varese passando per Azzate, Bisuschio, Porto Ceresio, Laveno Mombello, Gavirate, Angera, Taino. Tante preghiere ma inviti a presentarsi a Salò nessuno.

Il clero, soprattutto quello “basso”, sa che la guerra è una tragedia e che le brigate nere e i tedeschi sono una rovina. A quel punto dalla prefettura di Varese parte un’altra iniziativa che ha poco successo tanto appare fragile. L’invito del capo della Provincia Mario Bassi è rivolto ai cappellani militari e ai mutilati. Vadano loro per i Comuni “a propagandare l’alto gesto del duce”. Cappellani, mutilati, uniti a podestà, federali, gerarchi e gerarchetti, altre decine di “microfoni di Salò” sono da questo momento impegnati nella più spettacolare campagna pubbicitaria di regime. Si batte sul tasto repressivo ma più si avvicina il 25 maggio più si utilizzano gli argomenti della solidarietà, della clemenza. del premio per i ravveduti.

Scende in campo anche Arturo Mascetti, uno dei più popolari funzionari di Salò, con un annuncio che gioca sui sentimenti e si spegne nel sangue: “Al di sopra di ogni ideologia e di ogni partito – scrive Mascetti – unico deve essere il sentimento che oggi deve guidare chi sente di essere italiano. L’amore profondo per la nostra Patria, per questa nostra cara Italia, sanguinante dalle profonde ferite infertele con barbara ferocia da un nemico senza scrupoli. Sbandati! È la Vostra Grande Madre che oggi Vi chiama e Vi ordina di tornare da Lei! Ritornate! E noi Vi accoglieremo con animo scevro da qualsiasi sentimento di prevenzione e odio. Dopo il 25 maggio ogni recriminazione e ogni rimpianto saranno inutili: per i rinnegati e i traditori non potrà esserci che una sola cosa: il piombo!”.

I risultati sono modestissimi. Il 26 maggio la questura di Varese comunica che si sono presentati 160 sbandati di cui 77 ufficiali, 37 sottufficiali e 46 truppa. Gli altri, i civili, sono andati a Lugano o nella Val d’Ossola piuttosto che sottoscrivere la ferma per il duce.

 

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