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Storia

PARRI E VALIANI A VARESE

FRANCO GIANNANTONI - 13/06/2014

Ferruccio Parri e Leo Valiani

Parlano le carte ingiallite degli archivi e rivelano episodi sconosciuti. Al centro ancora Varese. È l’autunno del 1943, i tedeschi hanno occupato l’Italia dopo l’armistizio con ventitre Divisioni in parte già presenti, in parte fatte scendere dal Brennero. La Resistenza muove i primi passi, incerti e zeppi di ostacoli.

Leo Valiani e Ferruccio Parri, i capi “azionisti” del Comitato di Liberazione Nazionale, partono per la Svizzera. L’appuntamento è a Certenago, un paesino nei pressi di Lugano, a Villa De Nobili con i responsabili dei Servizi d’Informazione statunitense e inglese, Allen Dulles e John MacKaffery. Tema: gli aiuti per la lotta. Viaggio delicatissimo sia per il contenuto che per le insidie disseminate lungo il tragitto.

I due capi partigiani salgono sul treno Milano-Varese delle Ferrovie Nord mescolandosi alla folla anonima dei “pendolari” e degli “sfollati” che lasciano la metropoli massacrata dai bombardamenti. Varese il 12 settembre era stata violata dalle truppe del Reich, un manipolo di SS, come un coltello in un panetto di burro. Non c’era stato un solo segno di battaglia. Resa indecorosa. Solo il prevosto Alessandro Proserpio alza la voce ma pochi lo ascoltano.

Ferruccio Parri “Maurizio” è un monumento nazionale. È la Resistenza in carne e ossa. Dall’Ufficio Studi della Edison in Foro Bonaparte progetta il riscatto del Paese precipitato nel burrone del fascismo, ora imbarbarito, ancor peggiore. Tre medaglie d’argento sul Grappa e sul Pasubio, promosso maggiore sul campo, redattore al rientro con Tarchiani al “Corriere della Sera” negli anni in cui il foglio milanese si opponeva all’ubriacatura nazionalista, antifascista della prima ora, compagno di galera di Carlo Rosselli.

Leo Valiani (in realtà Weiczen), fiumano, incarcerato da Mussolini, messo al confino, emigrato in Messico, combattente di Spagna con i repubblicani, era tornato da poco in Italia assumendo la segreteria del Partito d’Azione. Un uomo coraggioso.

Sul treno Parri è muto. Teme qualche spione. Non si fida. A Varese ad attendere la coppia ci sono l’ingegner Giacinto De Grandi e la moglie. I due non appartengono ad alcun partito politico (a Varese fra l’altro assai deboli e in lite continua fra loro sul da farsi) ma con forte senso della libertà. De Grandi è un affermato imprenditore edile, colto, di larghe vedute. Aveva già aiutato gli ebrei giunti a Varese in massa a trovare un rifugio e a passare poi in Canton Ticino. L’impresa più grande era stata quella di ricoverare in una cascina di Cunardo l’intera famiglia del rabbino di Padova Paolo Nissim fornendo a ogni familiare (moglie, suocera, cognata e i due figlioletti) una carta d’identità postale intestata al nome dei Torniamenti di Caserta, luogo, per via della Linea Gotica, difficile da raggiungere per eventuali controlli anagrafici. Il passo successivo era stato quello di agganciare i primi partigiani, riunirli nel Comitato Militare guidato dall’ingegner Luigi Ronza, “azionista”, direttore della Azienda del Gas, poi catturato dai nazifascisti e inviato a Gusen da cui tornerà.

L’ingegner De Grandi e la moglie prendono un caffè con gli ospiti all’Hotel Magenta (oggi l’orrendo Mc Donalds) esponendo loro la situazione locale. La linea del confine è sotto il pieno controllo della Guardia Doganale germanica per l’intero tratto da Pino Lago Maggiore a Luino a Porto Ceresio. La Guardia di Finanza, passata quasi al completo in Svizzera, è stata sostituita dalla Milizia Confinaria. Insomma varcare la frontiera non è uno scherzo.

È il 14 novembre e da poche ore era iniziato l’assalto al Monte San Martino. Parri non si scompone. Conosce i luoghi e il valore del colonnello dei bersaglieri Carlo Croce, capo della formazione militare. Fa a tempo a dare dei consigli che evidentemente non raggiungono i destinatari dal momento che il tracollo è rapido e completo.

L’ingegner Luigi Ronza a quel punto mette a disposizione dei due capi partigiani un automezzo della Azienda del Gas con tanto di scritta sulle portiere. Possono essere abbastanza tranquilli e nel caso fossero bloccati debbono giustificarsi dicendo che stanno per visitare alcuni contadini per acquistare marmellata e uova. Una versione semplice, credibile fino a un certo punto.

Il passaggio dalla rete non aveva creato problemi. La guardia di servizio aveva fatto finta di guardare dall’altra parte e Parri e Valiani si erano ritrovati in Svizzera. Valiani si era disfatto delle forbici che aveva con sé per tagliare la “ramina”, la rete ci confine collegata a un sistema d’allarme. Non ce n’era stato bisogno.

Il paesaggio del Ticino è descritto da Valiani con abbandoni poetici. “Siamo – annota – sul sentiero dal quale si vedono delle oasi magnifiche, i villaggi ticinesi illuminati. Le loro luci feriscono gli occhi abituati all’oscuramento di Londra, di Algeri, di Roma, di Milano, ma fanno bene al cuore. Come sarebbe bello se il soggiorno in Svizzera potesse durare un paio di settimane: ma no bisogna ritornare in Italia entro un paio di giorni al massimo”. Dopo un pranzo con ogni ben di Dio, prodotti in Italia introvabili, fra cui l’Emmenthal e i boccali di birra, un viaggio su un trenino “comodo. pulito, puntuale” Parri e Valiani erano giunti a Lugano, poi a Casa De Nobili a due passi da Villa Tanzina dove Mazzini visse al tempo delle cospirazioni luganesi.

Al tavolo Dulles e McKaffery da un lato, Parri e Valiani dal’altro. Partenza in salita. Gli Alleati non vogliono sentire parlare di una Resistenza “politica”. Gli italiani debbono restare al traino alleato, fare un po’ di azioni, dell’intelligence, dei sabotaggi. Tutto qui. Nessun esercito popolare, nessuna “guerra grossa” quella che Parri vorrebbe. Il fattore “K” (comunisti) preoccupava Dulles e il suo collega. Non avrebbero mai voluto che i lanci di armi fossero finiti nelle braccia dei “rossi”! Quando sembrava che tutto dovesse precipitare Parri aveva giocato il suo jolly, ricordando il salvataggio compiuto dal CLNAI di centinaia di prigionieri Alleati fuggiti dopo l’8 settembre dai 75 campi di Mussolini sparsi per l’Italia. Mediazione raggiunta. Gli aiuti ci sarebbero stati dal cielo e da terra (uno dei “corrieri” sarebbe stato il varesino Guglielmo Mozzoni) tenendo presente il “colore” delle formazioni.

Il rimpatrio della “missione” fu complesso. Parri e Valiani, attesi a Milano al più presto, vennero sorpresi senza documenti e quel che apparve più grave agli occhi degli “svizzeri” con cioccolata, caffè e tabacco di contrabbando. Morale: galera a Mendrisio, poi a Bellinzona. Undici giorni. In Italia credevano che i due capi fossero stati catturati dai nazifascisti.

 

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