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Attualità

L’OSPEDALE DEI BAMBINI

MANIGLIO BOTTI - 30/05/2014

Il ripetuto ascolto, nei giorni che hanno preceduto le elezioni Europee, dei proclami dei leader – non tanto dissimili sebbene nelle chiacchiere opposti – dei tre maggiori partiti accreditati di qualche successo, il PD, il Movimento 5 Stelle e Forza Italia (citati in un ordine confermato anche dai risultati benché con distacchi imprevisti e megagalattici subito riferiti alla politica interna, giunta ormai sull’ultima spiaggia), m’ha indotto a conclusioni qualunquistiche, se si vuole, ma chiare: a chiunque fosse andata la maggioranza relativa dei consensi, e magari anche il mio voto, le sorti magnifiche e progressive del nostro Paese non sarebbero mutate granché, nonostante le promesse e le speranze che sono e restano moltissime; con un’altra non secondaria opzione personale, quella dell’astensione, che avrebbe avuto per lo più il vantaggio di non precipitare in un rapido pentimento. Il partito degli astensionisti (e non si parla qui anche delle schede bianche e nulle), calcolato su base cento, va ben oltre le proporzioni dei vincitori e di quelle degli sconfitti.

Il “teatrino della politica”, come una volta qualcuno degli stessi protagonisti di oggi volle definire le vicende pre e postelettorali, ha continuato trionfalmente il suo corso. Con qualche piccola riflessione in più, derivata anche da una breve ma intensa esperienza famigliare vissuta all’ospedale pediatrico “Gaslini” di Genova, su temi quali la politica, il potere, l’ambizione, la ricchezza; la politica e la solidarietà; la politica e il consenso.

Così d’acchito sembrerebbe che il nesso tra queste cose sia piuttosto difficile da trovare, e forse anche pretestuoso. Invero, sono argomenti già affrontati, e non da personaggi di secondo piano. Pur non essendo esperti di storia del Cristianesimo, vengono subito ricordati alcuni episodi narrati nei Vangeli. Per esempio quello dei farisei che volevano sorprendere Gesù sul fatto se fosse lecito o no pagare il tributo a Cesare, ed egli che – facendosi dare un denaro e mostrando loro l’effigie e l’iscrizione – rispose: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”; il brano dell’obolo della vedova, che lasciava ai poveri pochi spiccioli, ma in realtà molto di più di quanto in proporzione avrebbero dovuto e potuto offrire i più abbienti; l’episodio del ricco che voleva sapere da Gesù quali fossero i comportamenti di una vita corretta e premiata e Gesù che infine gli diceva: “Vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri e seguimi”. Ma quello se ne andò a capo chino perché aveva molti beni…

Ancora, in una recente tribuna politica, a uno dei contendenti che prometteva scintille, per altro fino a quel momento entusiasta e apparentemente di buon senso, a un certo punto è stato chiesto: “C’è una cosa, una cosa sola che approva di quanto dice il suo principale avversario?”. E questi, subito, senza ripensamenti: “Neanche una”.

Ma come è possibile? Tutti bugiardi e spregevoli gli uni e tutti santi gli altri? Certo, è molto facile amare e dire bene degli amici; più faticoso è perdonare o amare i nemici. Ma da noi, e non soltanto da noi, la politica è ormai questa. Le conseguenze, tra un insulto e l’altro, sono poi che si va sempre peggio o che nella migliore delle ipotesi il peggio si stabilizzi, chiunque posi le terga sugli scranni del potere.

Sarà diverso da domani in poi?

Silvio Berlusconi, che è un uomo ricchissimo, uno dei più ricchi d’Europa, che da una ventina d’anni a questa parte ha (avrebbe) potuto sostenere la sua anche in politica, tempo fa disse che presto avrebbe lasciato il “teatrino” per dedicarsi alla costruzione di ospedali. Non sappiamo se l’abbia fatto – cioè se si sia impegnato nella costruzione di ospedali – oppure se anche questa è stata un’altra sua promessa inevasa. Ma si è pensato, nel caso, proprio all’esempio di Gerolamo Gaslini, anch’egli lombardo e affermatosi nei commerci a Genova, un uomo di grandi ricchezze. Gerolamo Gaslini perse una figlia undicenne nel 1917, Giannina, morta per un attacco di appendicite trasformatasi in peritonite. Da lì a una quindicina d’anni, nel 1931, per onorarne la memoria, diede vita a una fondazione e a un istituto ospedaliero, diventato – e lo è tuttora – un’eccellenza dell’assistenza sanitaria ai più piccoli, e dunque agli esseri più deboli e indifesi.

Ogni epoca ha i suoi guai, diretti o divenuti tali a breve seguito. Il 1917 e l’anno 1931, visti con il senno di poi, non sono stati di certo migliori del momento attuale, anzi. Gerolamo Gaslini – stando ad alcuni suoi biografi – fu anche un uomo discusso e in un certo senso prepotente e spregiudicato nella sua imprenditorialità. Operò, come si nota, nel periodo del fascismo; qualcuno disse anche, a Genova, che l’ospedale dei bambini nasceva grazie a una robusta elusione di denari dovuti all’erario. Nel 1931, quando fu redatto l’atto costitutivo della sua fondazione, a proposito dell’eminente persona tuttavia si scriveva: “Ha donato in vita perché più sentita fosse la rinunzia. Egli ha voluto riservarsi l’esecuzione di quest’opera perché fosse in tutto rispondente al suo pensiero che è quello di creare un complesso organico che riassuma in sé quanto è attinente alla cura dei mali fisici e altresì alla difesa ed assistenza dell’infanzia e della fanciullezza e ciò perché egli pensa che la conservazione dell’integrità fisica e morale degli individui equivalga alla creazione di una sorgente di ricchezza sociale”. E più avanti: “Questo istituto non deve far distinzione di stati legali deve anzi preoccuparsi dei figli di nessuno e fare in modo che queste creature rese sacre dall’avverso destino possano trovare nella vita come tutte le altre la loro parte di amore e crescere e maturare in energie feconde…”.

Lo stile, le parole senza dubbio retoriche e intonate agli usi dell’epoca non traggano in inganno. Alla fine Gerolamo Gaslini donò tutte – proprio tutte – le sue sostanze all’ospedale. E il tempo, che su questa terra è il migliore dei giudici, ne dà atto nella chiesa parrocchiale che, all’ingresso dell’istituto e in cima a un’erta scalinata, accoglie le spoglie dei Gaslini. Dietro l’altare c’è la tomba di Giannina. Accanto, a sinistra di chi guarda, quella di Gerolamo con una semplice scritta sulla lapide: “Sono io, il papà”. A destra la tomba di Lorenza Celotto Gaslini: “Sono io, la mamma”. E poi quella della sorella Germana.

Le realtà della vita sono diverse, misteriose, contraddittorie. Da anni riscontriamo, e non ce ne meravigliamo più, che tantissime persone e ricchi sponsor pagano milioni di euro per ammirare un campione dello sport. Nessuno paga per vedere un chirurgo operare per otto ore di fila, neanche un chirurgo specializzato nella cura dei bambini, a meno che il tocco della sofferenza non ci arrivi addosso all’improvviso. Allora tutte le prospettive cambiano.

Ne siamo certi, ma l’altra sera, quando cominciavano a venir diffusi gli esiti della consultazione elettorale delle Europee, che nella più benevola delle interpretazioni in Italia è stata definita dai toni un po’ eccessivi, nessuna delle tv installate nelle camerette del “Gaslini” era sintonizzata su quei canali, essendo tutt’altri i sentimenti, le preoccupazioni e le esigenze.

Viene in mente soltanto, per quanto ci riguarda, l’immagine di una ragazzina calabrese, un viso bellissimo, le labbra ben disegnate, occhi neri – occhi ridenti e fuggitivi come scrisse un grande poeta – ma su un corpo reso scheletrico dalla miodistrofia, il suo saluto e la nostra risposta “Ciao, bella!”. E ancora il suo sorriso ironico, come a dire: “Bella io…”. Ma sì, proprio bella, bellissima in quell’aspetto gentile, il ritratto vero di una voce e di un’anima.

 

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