Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Storia

DAVANTI AI MARTIRI DI CIBENO

MANIGLIO BOTTI - 18/07/2014

Commemorazione dei martiri di Fossoli

Chi avesse voluto, la scorsa settimana, rendere omaggio ai sessantasette martiri di Cibeno – vittime di un eccidio commesso dai nazifascisti, un fatto conosciuto ma non notissimo anche tra gli studiosi – avrebbe quanto meno incontrato delle difficoltà logistiche. La località, vicina alla cittadina di Carpi, ai resti del campo di concentramento di Fossoli, e quindi alla città capoluogo, Modena, non è ben segnalata. Al luogo della strage – dove doverosamente domenica 13 luglio la senatrice e ministro della difesa del governo Renzi Roberta Pinotti ha voluto deporre una sua corona di foglie d’alloro – si arriva con un po’ di fortuna: il sito, infatti, tuttora sede di un poligono di tiro con sovrintendenza militare, non riporta indicazioni utili, almeno sulle strade esterne. Né le persone che vivono intorno, specie i giovani, sanno aiutare, come si dovrebbe, il visitatore.

Le ragioni di una tale situazione ci sfuggono. Invero anche le vicende di quel lontano periodo bellico e di guerra civile sono ancora ammantate di un certo mistero, di una nebbia che si fa fatica a diradare nei libri di storia e nella memoria.

Vi accadde, all’alba del 12 luglio del 1944, esattamente settant’anni fa, che un folto gruppo di prigionieri – per lo più prigionieri politici e combattenti della Resistenza – venissero prelevati dal vicino campo di Fossoli, portati al poligono di tiro di Cibeno e accostati a dei fossati che, poche ore prima, erano stati scavati da detenuti ebrei, anch’essi prigionieri a Fossoli. Un militare lesse, in quattro parole, una sentenza di condanna a morte e sessantasette uomini – si trattava di personaggi provenienti da diverse regioni italiane, ma i lombardi (c’erano anche dei varesini) erano in maggioranza – caddero sotto i colpi dei fucili mitragliatori. A nulla servì un ultimo tentativo di aiuto del vescovo di Carpi, monsignor Federico Della Zuanna, accorso al poligono appena saputo di quello che si stava per compiere.

I motivi della strage, s’è detto, non sono mai stati chiariti. S’è parlato di una rappresaglia nei confronti di civili inermi, in quanto a Genova erano stati uccisi alcuni militari tedeschi dai partigiani. Ma la verità non è stata fatta, e forse nemmeno cercata con puntiglio. È cosa più probabile che i sessantasette martiri furono uccisi – dal campo di Fossoli ne erano stati prelevati settanta, ma tre riuscirono a fuggire – perché scelti dai nazisti e dai fascisti, i quali così agendo volevano togliere di mezzo i migliori uomini della Resistenza del Nord Italia. Una ventina di giorni dopo la fine della guerra, il 17 e il 18 maggio del ’45, i morti di Cibeno furono esumati dalle fosse e riconosciuti. Funerali solenni vennero celebrati in Duomo a Milano dal cardinale Ildefonso Schuster.

In quanto al campo di Fossoli, o a quanto ne resta, anche qui, nonostante la buona volontà di alcuni, occorrerebbe fare un’operazione di recupero della memoria. Oltre tutto, a gettare polvere e terra sulle macerie, qualche anno fa, ci si è messo anche il terremoto, che ha devastato molti paesi del Modenese.

Il campo, in questa parte dei territorio, ha vissuto una sua particolarissima storia: fu zona di internamento di prigionieri di guerra, poi successivamente ospitò profughi dalmati, e fu pure la sede del primo insediamento di Nomadelfia, la comunità di don Zeno Saltini. Ma la sua “notorietà”, probabilmente derivata dal fatto che il luogo si trovava in prossimità di un importante snodo ferroviario in direzione del centro Europa, è attribuita alla funzione di “Polizei und Durchgangslager”, ovvero un campo di transito gestito dai nazisti – che poi si spostarono a Bolzano – dal quale ebrei, prigionieri politici e altri venivano indirizzati ai campi di sterminio di Auschwitz o Mauthausen.

Si calcola che da Fossoli passarono almeno cinquemila ebrei rastrellati dalle SS, dalla Gestapo e dai fascisti nelle città italiane. Di questi, uno dei più famosi, è Primo Levi, che vi sostò circa una mese – nell’inverno del ’44 – prima di essere portato a Birkenau, il “campo di lavoro” di Auschwitz.

Di quest’esperienza ha scritto Primo Levi nel suo libro più noto, “Se questo è un uomo”: “…Il mattino del 21 febbraio si seppe che l’indomani gli ebrei sarebbero partiti. Tutti: nessuna eccezione. Anche i bambini, anche i vecchi, anche i malati. Per dove, non si sapeva… E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere… Le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare…”.

 

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login