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Attualità

L’EREDITA’ DI PASQUALE MACCHI

SERGIO REDAELLI - 25/07/2014

Monsignor Macchi e Innocente Salvini nel 1966

Fra le tante verità possibili o presunte (una lettera a un quotidiano locale lo definisce massone, amico di Andreotti e confidente di Paul Marcinkus), giova ricordare che cosa monsignor Pasquale Macchi ha lasciato in eredità umana, culturale e religiosa a Varese e non solo. Molti cittadini lo hanno conosciuto di persona e hanno visto con i propri occhi ciò di cui è stato capace a cominciare da quando, giovane seminarista, nascose per un mese nella sua casa in via Parravicini, complici il fratello Carlo e l’intera sua famiglia, il partigiano Marcello Novario, rocambolescamente fuggito dall’ospedale di Circolo facendola in barba alla milizia del Fascio.

Nato a Varese il 9 novembre 1923 e laureato in lettere moderne all’Università Cattolica, Macchi fu dal 1954 segretario personale di Giovanni Battista Montini arcivescovo di Milano e poi a Roma, dal 21 giugno 1963, quando Montini fu eletto papa. Dopo la morte del pontefice, fu arciprete a Santa Maria del Monte dal 1980 al 1988 e infine vescovo di Loreto, prima di ritirarsi alla Bernaga di Perego, la sede distaccata delle Romite del Sacro Monte di Varese dove custodì e fece conoscere, attraverso un’assidua collaborazione con l’Istituto Paolo VI di Brescia, la figura di papa Montini.

Amico di pittori e scultori, negli anni trascorsi nei palazzi apostolici romani arricchì i musei vaticani di capolavori contemporanei. Tornato al Sacro Monte, diede un decisivo contributo al rilancio spirituale e artistico della Via Sacra, convinse Renato Guttuso a realizzare l’acrilico della Fuga in Egitto alla terza cappella e organizzò il 2 novembre 1984 la visita varesina di Giovanni Paolo II che il 10 dicembre 1988 lo nominò vescovo e delegato pontificio a Loreto. Dalle mani del pontefice polacco ricevette la consacrazione episcopale il 6 gennaio 1989 nella basilica vaticana.

Come padre Aguggiari con la veemente predicazione aveva saputo parlare al cuore dei fedeli e convogliare le offerte delle comunità parrocchiali per costruirela Via Sacraall’inizio del Seicento, così monsignor Macchi tra le tante virtù religiose ne coltivò una laica: la capacità di convincere enti, banche e privati a fare rilevanti donazioni per il Sacro Monte. Con il concordato del 1983 era stata soppressa la vecchia amministrazione del santuario e Macchi diede vita alla Fondazione Paolo VI per il Sacro Monte, un organismo di rilevanza civile e canonica – i cui consiglieri sono nominati dal cardinale di Milano – che prese il posto del vecchio Cda del santuario per continuare l’opera d’assistenza finanziaria e amministrativa.

In questi anni, l’ente ha svolto quasi da solo, con il contributo della Fondazione Cariplo, il ruolo di silenziosa “sentinella” del Sacro Monte sopperendo anche ai silenzi degli enti pubblici. Il complesso monumentale, infatti, appartiene giuridicamente alla parrocchia di Santa Maria che è piccola e non ha i mezzi per fare fronte ai costosi interventi di manutenzione: così è la Fondazionea provvedere con i fondi lasciati da Macchi. L’ente non si alimenta da solo ma contribuisce a mantenere i beni, a restaurarli e a mostrarli. Non produce di proprio. È finalizzato a sostenere un patrimonio che dal punto di vista del significato è di tutti e ha una fruizione internazionale, tutelata dall’Unesco, che valorizza l’immagine di Varese.

È un’attività benemerita e costosa. Dieci anni fala Fondazioneriaprì al pubblico il museo Baroffio con gli splendidi reperti leonardeschi, più di recente ha sostenuto il restauro della statua della Madonna nera in santuario, ha costruito gli ascensori per agevolare l’accesso ai pellegrini e ha promosso le celebrazioni per il quarto centenario. Per non parlare degli interventi sulla Rizzada, della sistemazione della fontana della Samaritana di cui ha fatto la propria sede, dei costosissimi lavori in corso nella cripta del santuario che potrebbero portare indietro le lancette della storia verso i tempi leggendari di Sant’Ambrogio e della sistemazione del nuovo spazio espositivo ai piedi del viale delle Cappelle con arredi sacri, dipinti, abiti liturgici e da viaggio, indossati da Montini, che Macchi ha lasciato in eredità a tutti i varesini.

Quand’era arciprete a Santa Maria del Monte, don Pasquale commissionò allo scultore Giacomo Manzù lo studio di un progetto per il portale del santuario, poi bocciato per l’opposizione che si era creata in città così com’era avvenuto per l’acrilico di Guttuso. Non ebbe miglior fortuna con Marc Chagall, l’artista bielorusso che aveva interpellato per sostituire un affresco rovinato alla settima Cappella. Ci si può chiedere col senno di poi se fu un errore rinunciare alle opere di Manzù e di Chagall. Forse il Sacro Monte avrebbe oggi più appeal e sarebbe più riconoscibile in Europa. Sicuramente dopo i primi sarebbero arrivati altri artisti internazionali, ma i timori di commistione fra arte contemporanea e antica fermarono il progetto.

Fu Macchi a chiamare periodicamente predicatori straordinari, a istituire la salita delle sette del sabato mattina che prosegue tuttora e la celebrazione alla vigilia di Ferragosto alla XIV cappella con grandi personalità (tra gli ultimi Ersilio Tonini, John Magee ecc.). Commissionò la campagna fotografica della Via Sacra a Vivi Papi e fece pubblicare libri per i gruppi di pellegrini e pubblicazioni più corpose per studiosi e appassionati. Non era infine così attaccato alle cose terrene se fece scudo con il proprio corpo a Paolo VI nell’attentato avvenuto nel1970 aManila nelle Filippine. Fu il segretario a salvare la vita del pontefice avventandosi sul fanatico attentatore per immobilizzarlo.

Morì in una clinica di Milano il 5 aprile2006 aottantadue anni e il cardinale Dionigi Tettamanzi celebrò le solenni esequie in duomo. Quando nell’autunno 2010 il professor Luigi Zanzi e Pietro Malnati donarono al museo Baroffio una tela raffigurante Carlo Borromeo, l’allora arciprete don Angelo Corno si chiese quale funzione abbiano oggi i santuari: “Il pensiero dominante – disse – tende a relegare i santi nella sottocultura popolare, a considerarli dei visionari buoni solo per le vecchiette che vanno in chiesa ad accendere i lumini, di loro si diffida e si vorrebbe limitarne le immagini alle sagrestie. I santuari sono invece luoghi di serenità interiore e i pellegrini vi salgono cercando gli antidoti agli idoli del potere e della ricchezza che oggi vanno per la maggiore. Per questo monsignor Macchi, che tanto fece per il Sacro Monte, è stato un degno figlio della terra varesina”.

 

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