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Storia

PER NON DIMENTICARE

ROSALBA FERRERO - 25/07/2014

Gli alpini danno appuntamento per il 28 luglio alle 21, al monumento ai Caduti in piazza della Repubblica vogliono ricordare, a cento anni di distanza dallo scoppio della prima guerra mondiale, gli ‘alpini andati avanti’ insieme a tutti i quindici milioni di morti che la guerra causò. La cerimonia dell’alzabandiera, il tocco della campana a morto, il silenzio fuori ordinanza suonato dalla tromba sono un sobrio, estremo omaggio a tante vite stroncate, a concludere una preghiera in cui saranno accomunati i caduti sotto ogni bandiera, di qualunque nazione, secondo lo stile alpino che non vede diversità tra gli uomini che sono nella necessità nella difficoltà, e si attiva con generosità per portare aiuto, una breve riflessione porterà a meditare sulla tragedia della Grande guerra e sulle tante guerre che nell’attuale situazione geopolitica mondiale si combattono ancora.

Gli alpini sono avvezzi a tale tipo di cerimonia: ‘A tutti i Caduti’ è la motivazione con cui depongono corone ai monumenti e alle targhe che ricordano quanti hanno perso la vita in guerra; non c’è distinzione tra amici e nemici, tutti sono affratellati nel mistero immenso della morte, che rende degni di un rispetto tanto più profondo quanto più la morte è l’ estrema conseguenza dell’abnegazione nel compiere il proprio dovere, seguendo degli ideali, fino al sacrificio della propria vita.

In occasione del primo centenario la cerimonia è un dovere quasi istituzionale; gli alpini però da sempre commemorano i commilitoni defunti in guerra, secondo il motto che ha guidato la costituzione dei gruppi e delle sezioni, vere società di mutuo soccorso costituite a partire dal 1919 dai reduci, dai sopravvissuti che decisero di coordinarsi in una associazione che provvedesse ad aiutare mogli, madri, figli dei compagni perduti, in un momento storico in cui non esistevano sistemi di tutela per orfani e vedove; associazioni sorte nella volontà di restare fedeli ai punti di riferimento ai valori e alle tradizioni: il dovere il sacrificio l’onestà la famiglia la montagna la solidarietà lo spirito e la capacità di resistenza.

Per questo motivo da quasi cento anni gli alpini compiono pellegrinaggi sull’Adamello, sull’Ortigara, sul Pasubio, luoghi sacri, luoghi di devozione che furono tomba di migliaia di penne nere, di artiglieri, di fanti immolati nell’immane macello; ‘per non dimenticare’ come recita l’incisione sulla Colonna Mozza, perché gli alpini non dimenticano quelli ‘che sono andati avanti’, morti in guerra e sostengono che solo chi ricorda i sacrifici gli stenti le tragedie le lacrime il dolore dei sopravvissuti può lavorare ogni giorno per la pace. Chi non ha questa memoria, non sa quale grande valore è la pace e la pace non si conquista con la guerra, ma con le opere di solidarietà, di generosità, di altruismo.

La notizia della prima celebrazione commemorativa che si sarebbe tenuta sull’Ortigara, alla Colonna Mozza appunto, nudo monumento che riassume simbolicamente la vita spezzata… Ta-pum ta-pum ta-pum… Cimitero di noi soldà … comparve sul giornale ‘L’Alpino’ del 1 settembre 1920…

‘Siamo noi, i vivi, noi superstiti che andiamo a chiedere ai fratelli che morirono… la forza di credere ancora in tutto ciò per cui tutti soffrimmo ed essi morirono’…: il coraggio, la sopportazione delle fatiche, del freddo, della fame, l’accettazione delle privazioni, il dolore per la perdita dei compagni, gli atti d’audacia, l’amor di Patria, il senso del dovere che permea ogni minuto di ogni giornata di ogni mese passato dentro le trincee, dentro gli anfratti della roccia, sotto la neve, sotto la pioggia, sotto il sole cocente.

‘Noi ricordiamo anonimi soldati, ventenni sfortunati provenienti da varie regioni d’Italia e da vari paesi europei’, che si batterono eroicamente su montagne e altipiani sperimentando per la prima volta la micidiale potenza di un’industria bellica che aveva abdicato, in nome della logica del profitto e della supremazia degli strumenti di annientamento del nemico, a qualsiasi concezione tradizionale di ‘arte militare’ titolare di una ‘deontologia’ bellica, arrivando a provocare l’immane massacro, l’inutile strage’…

Anche il Monte Pasubio è meta di pellegrinaggio. Lì si fronteggiarono migliaia di uomini in attacchi e contrattacchi disperati: mitragliatrici, lanciafiamme, gas nervini, obici, e poi baionette e sassi in violenti corpo a corpo; si sacrificarono fanti, genieri, artiglieri, bersaglieri ciclisti, granatieri e alpini; l’esercito austroungarico impegnò i suoi migliori reggimenti di Kaiserjager in un disperato fronteggiamento dipanato su oltre10 kmdi gallerie,50 kmdi camminamenti e trincee scavate nella roccia,40 kmdi tubazioni per l’approvvigionamento idrico dei combattenti, nascosti in rifugi aggrappati alla roccia, in postazioni in cui era difficile vivere e ancora più resistere e combattere. Sull’altipiano del Pasubio il tempo è fermo ai segni della guerra: camminamenti caverne rovine sembra solo di sentire sussurrare a ogni passo le commoventi parole di Stelutis alpinis ‘…là che lôr mi àn soterât, al è un splàz plen di stelutis: dal miò sanc ‘l è stât bagnât’.

Nel 1924 l’ANA organizzò il primo convegno-pellegrinaggio sull’Adamello, altra montagna sacra, altra tomba di Alpini, e dal 1963 si ripete a ogni estate. Tra le tante edizioni, indimenticabile è quella del 1968 quando si rincontrarono e abbracciarono, a cinquant’anni dalla fine della guerra, il colonnello Fabrizio Battanta e il maggiore Alfred Schatz, protagonisti e avversari della battaglia per la conquista della strategica posizione.

Il percorso è tanto accidentato che oggi a pochi è consentito di partecipare al pellegrinaggio…: ‘Si accettano solo iscrizioni di persone particolarmente esperte di montagna e fornite delle seguenti attrezzature: imbracatura, piccozza, ramponi, una corda di m 50 ogni cinque persone per il percorso facile e per il percorso più ardito imbracatura, attrezzatura da ferrata, piccozza, ramponi, casco, una corda di m. 50 ogni cinque persone’ si legge sulla comunicazione di partecipazione …

È evidente che quanti combatterono cent’anni fa non avevano certo gli equipaggiamenti sofisticati richiesti oggi! Per loro equipaggiamenti spartani e cibo scarso, tanti sacrifici e abnegazione.

Anche a Varese esiste un percorso sacro:la Viasacra dedicata ai Caduti senza Croce che dal Campo dei Fiori porta alla Cima Tre Croci; non è stato teatro di guerra, ma le lapidi che segnano il percorso sono dedicate a ciascuna arma delle Forze armate italiane che sono state impegnate in guerra. Ogni anno, il 15 agosto gli alpini rendono omaggio a tutti i Caduti con un pellegrinaggio e una messa di suffragio.

Intorno a tale manifestazione si è sviluppata la ‘Festa della Montagna’, inizialmente solo un ‘rancio alpino’ per i partecipanti, che da vari anni si è dilatata in più giorni e attira moltissime persone, la maggior parte delle quali ignora il significata originario dell’iniziativa.

Vietato ignorare: si devono riscoprire e studiare tali eventi, patrimonio prezioso della nostra memoria collettiva, per costruire una nuova realtà geopolitica dove domini un sereno clima di pace, libertà e progresso, senza rancori senza vendette e odi. Ignorare e dimenticare infatti appiattisce la storia sull’attimo presente, impedisce che la storia sia magistra vitae: solo conoscendo il passato coi suoi orrori e tragedie e le cause che li hanno determinati, si può contenere la parte istintiva, la ferocia che alberga in ogni uomo. ‘Non devono essere le armi a conquistare la pace, ma la comprensione e la buona volontà degli uomini.’

 

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