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Spettacoli

CELENTANO, L’UOMO DEL CLAN

MANIGLIO BOTTI - 01/08/2014

“La coppia più bella del mondo”

Su Adriano Celentano e sulla sua storia sono stati scritti decine e decine di libri e migliaia di articoli, e tanti altri saranno scritti negli anni a venire.

In questi giorni di mezza estate, per esempio, il Molleggiato nazionale, che compirà settantasette anni il prossimo gennaio 2015 (due meno di Berlusconi!) sta riempiendo di sé i giornali rosa e di gossip per le sue nozze d’oro con l’attempata ma sempre bella Claudia Mori, dalla quale ha avuto tre figli: mezzo secolo di vita insieme.

La memoria, dunque, corre a cinquant’anni fa – al fatidico 1964 –, un’epoca in cui Adriano era il dominus dell’estate con le sue canzoni, le sue furberie e le sue trovate. Tra queste – più o meno nel periodo in cui conobbe e cominciò a frequentare la futura moglie Claudia – vi erano le notizie relative alla sua fidanzata ufficiale, la “misteriosa” Ragazza del Clan, a sua volta soggetto e oggetto di canzonette. “E chi mai sarà la Ragazza del Clan…”, cantavano i Ribelli, il gruppo che accompagnava Celentano nelle sue performance. Tutti sapevano, naturalmente, e i giornali ne scrivevano a iosa, che la “ragazza del Clan” era Milena Cantù, modesta fanciulla milanese dalla voce squillante che in seguito avrebbe sposato Fausto Leali.

Il Clan Celentano, appunto. Piaceva tra i giovanissimi utilizzatori finali, in quella prima metà degli anni Sessanta, l’etichetta colorata, a mo’ di arcobaleno, che compariva quando al juke-box si sceglieva un disco celentanesco o della sua équipe. Fasti del vinile. Il Clan, da un punto di vista societario ed economico, sopravvive ancora oggi. Allora era un simbolo di appartenenza.

Erano gli anni del Problema più importante, del Tangaccio, di Grazie-Prego-Scusi, dei pantaloni bicolori e a zampa d’elefante, indossati dal capoclan fautore di una nuova linea di moda, e di una sua (presunta) crisi mistico-religiosa per altro bene pubblicizzata dalle canzoni: Ciao ragazzi, Bambini miei, Pasticcio in paradiso, l’Angelo custode…

Per il nome Clan, Adriano Celentano, è molto probabile, si era ispirato a un’omonima associazione creata Oltreoceano da Frank Sinatra. Ma erano cose ben diverse. Nel suo gruppo Sinatra era un inter pares. Il Clan Sinatra, poi, trattandosi nei vertici di italo-americani, altro non era che una malevola traduzione di Rat Pak – Banda di topi –, come qualcuno aveva voluto identificare Sinatra e i suoi avendoli visti gironzolare dopo una notte di bagordi.

Celentano invece era un padre padrone. Il suo Clan rappresentava una società di capitali e di interessi (e lui ne impegnava la parte più rilevante). E diversi nell’insieme erano i caratteri e le personalità dei protagonisti. Se Sinatra poteva radunare attorno a sé Dean Martin, Sammy Davis jr, Joey Bishop e Peter Lawford, Celentano schierava Don Backy, Gino Santercole (suo nipote), Ico Cerutti, Pilade, il maestro Detto Mariano o Mariano Detto… Poco affine anche la gestione: quella del Clan Celentano era lasciata ai parenti (in quegli anni, per esempio, al fratello di Adriano, Alessandro) e così sarebbe andata negli anni successivi: la moglie Claudia e altri fidatissimi. Inevitabile che prima o poi gli interessi con gli “estranei” dovessero collidere.

Accadde al Festival di Sanremo del 1968, quando Adriano, per una questione di royalty, si dovette scontrare con il suo “luogotenente” Don Backy. L’afflato mistico e la fede religiosa non gli impedirono un atteggiamento vendicativo e di proibire al “rivale” l’esecuzione in proprio del brano che aveva portato al Festival – intitolato Canzone – che Celentano eseguì distrattamente in sua vece, stonacchiando qua e là. Canzone, nonostante tutto, si classificò al terzo posto, ma tra Celentano e Don Backy si aprì un contenzioso biblico di cui non s’è mai persa traccia.

Tra Celentano e Sinatra – almeno così viene da pensare – si era presentato un binomio imitativo (solo da parte di Celentano in verità): cantante l’uno, cantante l’altro; attore l’uno, attore anche l’altro; amici per l’uno, amici (?) anche per l’altro… Poi con il trascorrere del tempo Adriano – da presentatore televisivo di sé stesso – attraversò anche la fase filosofica, e si mise a sproloquiare.

Giorgio Bocca, importante giornalista e titolare di una rubrica sull’Espresso che aveva voluto chiamare in modo un po’ provocatorio l’Antitaliano, definì Celentano – dopo averne ascoltato le prediche televisive – un “cretino di talento”, appellativo che invero bene si attaglierebbe ad altri personaggi della nostra scena e non solo artistica. Un altro noto giornalista, autore di un libro recente intitolato Buoni e Cattivi, in cui parla dei personaggi incontrati nella sua lunga carriera attribuendo a ciascuno un voto da 1 a 10, dà di Celentano un giudizio ben al di sotto della sufficienza; insomma non è tra i buoni.

Convinti come siano che le canzonette e i loro autori, i fumetti, il cinema popolare meglio rappresentano la storia di un Paese della grande letteratura e di profondi saggi, continuiamo tuttavia a pensare a Celentano come a un grande italiano. Per questo auguriamo a lui e a sua moglie Claudia – la Coppia più bella del mondo – il raggiungimento di altri traguardi insieme. Adriano è e rimane una nostra icona, una traccia per le nostre piccolezze e per le nostre presunzioni e – talvolta – anche per i nostri successi.

 

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