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Cultura

POLONI, L’ARTE DI IMITARE

SERGIO REDAELLI - 24/10/2014

Girolamo PoloniFu un grande “secentista” come lo definì il sacerdote Costantino Del Frate nel 1933 quand’era coadiutore del santuario del Sacro Monte oppure solo un buon imitatore, una bella mano senza personalità artistica? Chi era, veramente, Girolamo Poloni, l’artista di Martinengo in provincia di Bergamo (1877-1954) che Lodovico Pogliaghi incaricò di restaurare ben undici Cappelle della Via Sacra sopra Varese? “È stato un valente pittore, ma fuori del suo tempo – osserva il restauratore Piero Lotti, direttore culturale del chiostro di Voltorre e “figlio d’arte” (suo padre è l’indimenticato Carlo Alberto Lotti) –: Poloni aveva un’ottima mano. Fu abile a calarsi nei panni di pittore del Seicento ma la vera personalità artistica non si nota, almeno non in ciò che ha lasciato al Sacro Monte di Varese. Era un accademico e non seppe mai alzarsi dallo stile barocco che faceva da sottofondo al suo lavoro”.

Più benevola, come si diceva, è la valutazione che ne diede Costantino Del Frate nel libro “Santa Maria del Monte Sopra Varese”, stampato nel 1933 a Chiavari. Scrisse a proposito della terza Cappella: “L’affresco di centro, sotto la capanna, fu ora totalmente rifatto dal pittore Girolamo Poloni di Martinengo, perché distrutto dalla corrosione operata dal salnitro; quegli, sotto l’illuminata guida del Prof. Comm. Lodovico Pogliaghi, eseguì il completo restauro della Cappella, iniziato il 3 ottobre 1922 ed ultimato nel giugno del 1923. Poloni è l’umile e bravo pittore sotto il cui pennello rivissero le bellezze di questa e di altre dieci Cappelle, tutte rimettendole completamente a nuovo negli affreschi e nelle plastiche, conservando scrupolosamente quello che ancora di autentico rimaneva… Lo si può dire un perfetto secentista nato”.

Poloni fu l’incolpevole causa del “giallo” della terza Cappella, nel 1983, quando l’arciprete Pasquale Macchi incaricò Guttuso di sovrapporre la sua Fuga in Egitto a quella seicentesca dipinta all’esterno dal Nuvolone. Esplosero le polemiche e dovette intervenire un giudice per stabilire torti e ragioni. In realtà Guttuso non lavorò sulla pittura del Nuvolone ma sul rifacimento eseguito da Poloni nel ’23 per “rinfrescare” l’affresco originario sbiadito. “La Fuga in Egitto ridipinta sessant’anni prima apparve agli occhi di Macchi invecchiata ed evanescente – spiega Piero Lotti – non per la cattiva mano del Poloni, che anzi era stata efficace e vigorosa, ma perché il colore non si vedeva più: tutta colpa dell’infelice posizione della parete su cui poggiava l’affresco, un problema che sussiste tuttora. L’acrilico di Guttuso, infatti, sta lentamente morendo nonostante le assidue e costose cure”.

Lodovico Pogliaghi guidò gli studi di Girolamo Poloni all’Accademia di Brera a Milano (dove poi l’allievo insegnò) ed ebbe a definirlo “un uomo nato in ritardo di tre secoli; la sua epoca – disse – sarebbe stata il Seicento, tanto egli trasfondeva nel colore l’aria e l’impressione di quel tempo”.

Nel libro edito dal Comitato degli Anniversari e dal Circolo lirico di Martinengo per i cinquant’anni della morte, il biografo Alberto Asperti descrive Poloni rintanato in casa circondato dai lunghi tubi dove avvolgeva i cartoni degli affreschi. Lasciava il suo rifugio soltanto la sera per una bicchierata e una briscola con gli amici, avvolto nel mantello e nascosto da un cappello a larghe falde. Asperti lo definisce “un onesto pittore dalla lunga e brillante carriera che, anche se non ha rivoluzionato l’arte del Novecento, aveva tuttavia molte sensazioni da esprimere, che in pochi hanno raccolto”.

Commemorandolo nel 2004, monsignor Luigi Pagnoni aggiunse che nella pittura di Poloni non c’è traccia del mondo artistico in ebollizione nel primo decennio del Novecento (il fauvismo di Matisse, il cubismo di Picasso, il futurismo di Marinetti e Boccioni, l’astrattismo di Kandinski e Mondrian): “È sorprendente l’analterabilità del sua produzione artistica dall’inizio alla fine – scrive – come se egli rifiutasse con superiore noncuranza ciò che gli doveva apparire come un insulto alla grande arte del passato. Lui stesso, del resto, non faceva mistero di questo rifiuto: in un raro momento di confidenza, parlando con un giornalista, dichiarò che per lui l’arte nuova era completamente malata avendo abbandonato la realtà del cielo, della luce, dello splendore e della ricchezza del creato, per deformare la bellezza delle creature di Dio”.

Poloni, nonno del cartoonist Bruno Bozzetto, operò in Lombardia, in Piemonte, Liguria e Svizzera. Affrescò numerose chiese nella natia provincia di Bergamo (Martinengo, Arcene, Sotto il Monte per citarne solo alcune) e decorò la sala delle cariatidi al castello Valentino di Torino. Nel Varesotto lavorò intensamente. Nel 1921 decorò la chiesa di Caronno, nel 1925 affrescò la gloria del patrono San Sebastiano nella cupola della parrocchiale di Marzio, nel 1928 il battesimo di Cristo ad Angera, dieci anni più tardi la crocifissione a Casbeno e la gloria dei santi Ippolito e Cassiano a Luvinate. Nel biennio ’48-49 realizzò due grandi affreschi in San Michele a Busto Arsizio e nel 1951 chiuse il ciclo varesino con gli affreschi nella cappella dell’ospedale di Circolo tra cui la Madonna del Latte, replica olio su tela del soggetto dipinto vent’anni prima nella chiesa di Arogno nel Canton Ticino.

Chiudiamo con un’annotazione di Chiara Palumbo nel sito dedicato a Lodovico Pogliaghi: Presso la raccolta chiesa inserita all’interno del complesso monastico della Badia di San Gemolo a Ganna, mi sono imbattuta in questo affresco, conservato presso una cappella laterale della navata sinistra. L’opera è di Gerolamo Poloni, artista che qui ha lasciato diverse tracce di sé. Il suo nome è da annoverarsi tra coloro che collaborarono al fianco del “maestro” Pogliaghi nel corso dei lavori di recupero (1893-1949) del Santuario di Santa Maria del Monte e del Viale delle Cappelle. Questo inedito San Giuseppe (datato 1931, notizia desunta dal Liber Chronicus della Parrocchia di Ganna) testimonia la grande influenza di Pogliaghi sull’allievo; il modello per l’affresco è di certo l’opera pogliaghesca presente all’interno della Chiesa di San Babila a Milano.

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