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Storia

WOJTYLA/3 UN LUNGO ABBRACCIO

MANIGLIO BOTTI - 31/10/2014

papa03Il tempo può spegnere i ricordi e gli eventi. Le sole possibilità di fronteggiare una tale circostanza – scriveva monsignor Pasquale Macchi, che fu arciprete di Santa Maria del Monte sopra Varese e poi vescovo di Loreto – sono la preghiera e la cultura della speranza. E così è accaduto per la visita al Sacro Monte di papa Giovanni Paolo II, san Karol Wojtyla, che trent’anni fa nel quarto centenario della morte di san Carlo Borromeo venne in pellegrinaggio in terra ambrosiana. In quell’occasione per la prima volta un papa salì la rizzada del Sacro Monte sgranando il rosario, accompagnato da una gran folla di varesini e no – le cronache parlarono di cinquantamila persone; si rivolse loro con entusiamo e commozione, lì benedì tutti.

Quell’evento straordinario non è mai stato dimenticato. Il tempo, per quanto il suo trascorrere riesca a incidere sulle cose e sugli uomini, non è riuscito a toglierlo dai cuori e forse proprio grazie alle indicazioni di “don” Macchi: la preghiera, la speranza…

Oggi, all’ingresso del santuario, nel breve corridoio che si apre a destra della Porta sforzesca, una lapide rammenta a vecchi e nuovi pellegrini il passaggio di papa Giovanni Paolo II: “ …Plaudente il popolo di Dio ne fermò memoria sulla pietra perché non si cancellasse ne’ cuori”. Accanto v’è anche una statua del varesino “don” Pasquale Macchi, che di quella visita, lui che fu a lungo segretario di papa Paolo VI, oggi beato Giambattista Montini, era stato promotore. L’immagine lo ritrae in cammino, così come nelle foto dell’epoca lo si può vedere salire la strada delle Cappelle tra due ali di folla, leggermente discosto da papa Wojtyla e da Carlo Maria Martini, in quell’epoca cardinale di Milano, tutti con la coroncina tra le mani.

Era il 2 novembre 1984, un venerdì, ed era una giornata di un tiepido sole autunnale, come talvolta capita di vivere in queste piovose terre prealpine. Soltanto la sera, al tramonto, una leggera foschia arrivò a coprire le pendici del Sacro Monte e, più giù, la città di Varese.

Papa Giovanni Paolo era arrivato puntualissimo, poco dopo le tre del pomeriggio, in un elicottero sceso nel prato dell’ippodromo. Una Jeep lo condusse piano fino alla Prima Cappella, da dove si sarebbe mosso per la salita al santuario di Santa Maria del Monte. Ad accoglierlo, oltre a una folla immensa, i sacerdoti varesini e milanesi, il sindaco di Varese, che allora era l’avvocato Giuseppe Gibilisco, alcuni parlamentari e autorità di governo e del parlamento, tra cui l’onorevole Giuseppe Zamberletti, nativo del Sacro Monte.

L’occasione era stata data da un pellegrinaggio sulle tracce di san Carlo. I Sacri Monti sono stati definiti dal critico Giovanni Testori teatri montani della fede, una fortificazione contro la Riforma protestante realizzata in più punti delle vallate lombarde e piemontesi. A idearla san Carlo, esecutore del dettato del Concilio di Trento, a sostenerla – almeno per quanto riguarda Varese nei primissimi anni del Seicento – il cugino cardinale Federico Borromeo, il cardinale dei Promessi sposi del Manzoni.

Non a caso la visita del papa cominciò proprio da Varese, dove il santuario di Santa Maria del Monte rappresenta sì la quindicesima Cappella della salita, l’ultima dei cinque misteri gloriosi del rosario – il trionfo della Vergine – ma anche un luogo che, secondo un’antica tradizione, nel quarto secolo aveva visto la presenza di sant’Ambrogio, il primo patrono di Milano, con una traccia delle sue vittoriose battaglie contro l’eresia ariana.

Dopo Varese, papa Wojtyla sarebbe stato a Pavia, a Varallo, ad Arona e infine – il 4 Novembre –, giorno di San Carlo, a Milano.

Papa Giovanni Paolo II aveva sessantaquattro anni. Tre anni prima, nel maggio dell’81, aveva subito un attentato che l’aveva debilitato fino a portarlo vicino alla morte. Ma il 2 novembre dell’84 salì il “faticoso” stradone acciottolato delle Cappelle volute da padre Aguggiari e dall’architetto Bernascone tre secoli e mezzo prima con una vigoria e una passione tali da fare scarpinare i suoi vicini. Sostò un po’ più a lungo, alla Terza Cappella, quella della Natività, dinanzi all’affresco della Fuga in Egitto di Renato Guttuso compiuto l’anno precedente. Forse è una leggenda, ma pare che all’avvio dell’erta dei misteri dolorosi, la più ripida, si rivolse ai suoi vicini di pellegrinaggio dicendo: “Devo rallentare?”.

La visita di un papa a Varese fu così importante da mobilitare senza soste, insieme con i religiosi, le autorità e i cittadini, tutti i cronisti del giornale locale che s’erano attrezzati con due squadre: una al Sacro Monte, al seguito del papa, e una in regia nella sede del giornale in viale Tamagno. Il giorno della visita sulla Prealpina figurava un ritratto di Giovanni Paolo II a tutta pagina, realizzato dal pittore Marcus, con un titolone: “Eccolo tra noi”; e il giorno successivo un’immagine del pellegrinaggio sulla rizzada e il titolo “Un lungo abbraccio”.

Quell’abbraccio, quella grande comunanza di fede idealmente continuano ancora oggi. L’inesorabile cammino del tempo non li ha cancellati.

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