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Attualità

PIAZZA REPUBBLICA, ORIGINI DEL DEGRADO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 31/10/2014

piazzaIl degrado della piazza della Repubblica è il frutto avvelenato della corruzione della politica. La “tangentopoli varesina” da cui deriva segna infatti il punto più basso del distacco tra un ceto dirigente, formalmente eletto ma di fatto elitario e autoreferenziale, e i cittadini lasciati all’oscuro delle decisioni prese nel “palazzo”. Il corrompimento della prassi politica ha comportato non solo una serie di costi economici ma anche sociali e culturali. Il risultato è l’ indifferenza degli abitanti verso i processi di trasformazione della città e la loro apatia per la cementificazione urbana che, cancellando i segni della memoria collettiva e i luoghi di socializzazione, sta alterando irreversibilmente i caratteri originari della nostra città, con conseguenze devastanti per la qualità del vivere.

La più grande piazza cittadina, già sede di una antichissima fiera che risale al Medioevo e, successivamente, di un importante mercato che vedeva lo scambio di prodotti ma anche l’ incontro tra i cittadini, nonché ambito tradizionale di significative manifestazioni militari e civiche, è divenuta, dopo la costruzione del parcheggio sotterraneo, luogo appartato, psicologicamente inaccessibile, recesso di marginalità e di estraniazione. Spazio per piccoli commerci illeciti, per risse tra persone di diverse etnie e nazionalità (che di notte si propagano anche nelle vie del centro) è un luogo disertato dai varesini.

Il monumento ai caduti di Enrico Butti, rimarchevole simbolo storico e artistico, ha perso visibilità a causa dei molteplici manufatti disseminati all’intorno e della barriera che circondano la piazza nascondendola alla vista dei cittadini. Essa è divenuta l’icona della profonda frattura che si è verificata tra la classe dirigente e la cittadinanza, il simbolo della malapolitica di “tangentopoli”, con i processi senza condanne per l’avvenuta prescrizione dei reati, e che continua, tra il silenzio assordante della classe politica, con l’ulteriore cementificazione dei residui spazi verdi di quella che fu chiamata la “città giardino”.

L’urbanistica, cioè l’azione per correggere i mali urbani della società moderna e industriale, è una parte essenziale della politica, necessaria per concretare ogni programma operativo: “La modifica dei rapporti spaziali – scrive Leonardo Benevolo – è uno dei modi, inseparabili dagli altri, per attuare il fine generale che è il fine della politica”. Purtroppo la politica ha svalutato (per ignoranza? per quieto vivere? per connivenza?) l’urbanistica che, isolata dal dibattito politico e dalla partecipazione pubblica, è divenuta una pura tecnica al servizio del potere. Questa tecnica non è neutra ma è funzionale agli interessi speculativi che sono sempre ben rappresentati nei consessi comunali dove le distinzioni di parte cedono alla comune attrazione alla facile speculazione cementizia. Nella campagna elettorale già anticipatamente iniziata non c’è l’ombra dell’idea di città, non ci sono programmi e le proposte sono generiche e tali da far pensare a tutto e al suo contrario.

Il concetto di politica nasce dalla “polis”, la città; perdendo tale nesso la politica si corrompe e la città si disperde in un indistinto aggregato urbano.

La piazza è una tipica invenzione italiana; è uno spazio aperto dove la gente si incontra, dove si svolgono i commerci, si tengono i mercati, si fanno le manifestazioni civiche e le funzioni religiose.

La piazza è uno dei luoghi privilegiati dei processo di socializzazione mediante i quali i cittadini imparano a conoscersi e a convivere; nonostante l’attuale congestione da traffico essa è riuscita a mantenere parte della sua specifica funzione. Le più belle e famose piazze si trovano in Italia e tutte si presentano come spazi aperti, magari circondati da portici, mai da barriere architettoniche.

Piazza della Repubblica, dopo la costruzione del sottoutilizzato parcheggio sotterraneo, è divenuta un luogo estraneo; invece della quadruplice bordura dei maestosi tigli che invitavano alla sosta e alle grandi aiuole verdi e fiorite che c’erano prima, è stata innalzato un sopralzo lungo tutto il perimetro della piazza, che è stata così separata e isolata dal resto dell’ambiente e resa invisibile.

La spessa soletta di cemento che ne è alla base non consente più la crescita di grandi alberi e le svariate barriere architettoniche per l’accesso al parcheggio non permettono di ripristinare l’assetto di un tempo.

La piazza è desertificata; per riportarla ad una condizione di vivibilità è necessario un audace progetto che, ai grandi alberi ormai perduti per sempre, sostituisca le aiole “a raso”, le fontane con i giochi d’acqua, Occorre ripristinare la contiguità con gli spazi adiacenti abbattendo le insulse sopraelevazioni perimetrali; valorizzare il monumento ai caduti, dosando meglio la piattaforma di base in mattoni a vista; sostituire i vecchi pini con un nuovo scenario di cipressi italici, sempre verdi, che si intonano benissimo al paesaggio varesino. La costruzione di un “vero” teatro, che è uno dei simboli della città moderna e spazio di incontro e di socializzazione, potrà offrire un’occasione alla riprogettazione della piazza; si sta però ancora discutendo se collocarlo al posto della caserma o nell’area del mercato coperto ove si trova l’incredibile “teatro-tenda”.

Per intanto c’è incertezza; i progetti elaborati dagli allievi dell’Università di Chiasso per disegnare una “possibile Varese” futura e, in particolare, per la sistemazione della piazza, contemplano tutti una ulteriore, massiccia colata di cemento. L’architettura, per definizione, si occupa della costruzione di edifici: gli architetti abbondano, sono gli urbanisti che mancano!

Ci vuole un colpo d’ala e c’è da chiedersi se disponiamo di una classe politica all’altezza dell’arduo compito.

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