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Stili di Vita

ALLEVIARE IL DOLORE ALTRUI

VALERIO CRUGNOLA - 14/11/2014

compassioneDi per sé stessa, la compassione è un sentimento spontaneo. Non può essere appresa, ma al più scoperta in noi e da noi incoraggiata. Non nasce a comando, pena l’insincerità, l’assenza di quella che Lutero chiamava «dedizione del cuore». La compassione è rara e non ordinaria: non capita a tutti, e non tutti i giorni. E tuttavia getta la sua luce sulla vita quotidiana di quanti la sperimentano come vocazione verso gli altri e suscita in loro attitudini disinteressate, che ne orientano le scelte di vita: la benevolenza, la pietà, la misericordia, l’affratellamento, l’oblatività. La comprensione e la condivisione del dolore e delle angustie altrui suscitano un imperativo interiore, la volontà di recare aiuto e conforto a chi soffre. Al contrario della commiserazione, che pure le si apparenta, deve esternarsi in atti altruistici, educa alla generosità ed ha il suo premio in se stessa, nell’elevazione dell’animo che l’accompagna.

Le numerose critiche che il pensiero filosofico ha rivolto alla compassione non ne hanno mai scalzato il valore dal senso comune. Troppo forte è infatti l’esperienza dei guasti prodotti dall’insensibilità, dalla durezza, dalla chiusura egoistica, a paragone dei benefici che la compassione arreca, anche quando modesti o addirittura limitati al piacere che una volizione buona suscita o all’idea – in sé meschina – di ottenere ricompense future.

La compassione è ben di più di quell’umana simpatia che per Adam Smith impronta ogni sentimento morale: è una manifestazione della bontà. Nella vita sociale contemporanea non c’è parola lasciata più in ombra della bontà, più svalutata dalle monete correnti: la competitività, la determinazione nel conseguire degli obiettivi privati, l’appropriazione, l’aggressività verso la vita come abito quotidiano. In un vivere che è simulazione della guerra, non c’è spazio per la bontà: è per anime ingenue, per i «perdenti». Tuttavia la forza della bontà è dirompente. Non perché possa risolvere qualcosa, ma perché svela la contraffazione implicita in quelle monete correnti. La disposizione degli uomini al piacere, secondo Epicuro, è appagata con semplicità: nulla vale il dolce piacere di esistere, il gusto di un bicchiere di acqua fresca e pura, la gioia di una relazione disinteressata. Abbiamo bisogno di poco, ma spesso ignoriamo quanto quel poco sia tanto. Pretendiamo molto, e non vediamo i beni preziosi a portata di mano. La bontà è uno di questi piaceri semplici, uno di questi beni; ed è reciproca, anche se non sempre scambievole, o gratificante e gratuita in pari misura.

Sostanziata in opere, gesti e parole di compassione, la bontà percepita allevia il dolore dell’altro; e la cura dell’altro è anche cura di sé, grazie al sollievo arrecatoci – con le parole di Unamuño – dalla «dolorosa dolcezza del bene». Senza autentica bontà nessuna vita è buona: potrà essere una vita soddisfatta, ma non felice, non compiuta.

Compassione e bontà non hanno etichette, non appartengono ad una cultura piuttosto che ad un’altra, o a una particolare religione, o alla religione come tale. Semmai hanno un’impronta di genere: modulandosi nella dimensione sentimentale dell’esistenza e sfuggendo (almeno in prima istanza) alla dimensione riflessiva e razionale, sono più tipicamente femminili che non maschili. Non per nulla la rivalutazione filosofica della compassione nel secolo da poco trascorso ha avuto come protagoniste soprattutto delle donne: Edith Stein, Etty Hillesum, Hannah Arendt, Maria Zambrano, Marta Nussbaum e, in Italia, Laura Boella. A tutte loro va un merito sostanziale: la compassione è una relazione diretta, tra persone nominabili e non tra categorie astratte, come può accadere invece con l’estensione universalistica del principio di solidarietà. Quella relazione instaura un nesso tra individuo e comunità, e nella condivisione suscita legami più forti e vivi, più immediatamente fruibili anche nella vita sociale.

Per tempi di crisi come i nostri, dove i legami comunitari sono fragili e i legami sociali indeboliti o usurati, forse la compassione non sarà il massimo, ma non è propriamente poco. Se solo imparassimo ad accettare la nostra bontà, a farle spazio nella nostra vita, anziché spregiarla, il vivere comune sarebbe un po’ meno arido e avaro.

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