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Stili di Vita

FIDUCIA NEGLI ALTRI

VALERIO CRUGNOLA - 28/11/2014

fiduciaLa fiducia negli altri, dal latino fidem ducere, consiste nel riporre i propri auspici e le proprie aspettative nelle mani di qualcuno: una persona, un’istituzione, un soggetto economico. Ma fidem ducere sottintende una reciprocità: siamo anche noi a suscitare fiducia, offrendola agli altri, grazie all’affidabilità e alla credibilità dei nostri comportamenti, della nostra personalità, della stima pubblica di cui godiamo e delle testimonianze del nostro passato. La sfiducia, al contrario, si fonda sul sospetto che le nostre aspettative possano con ogni probabilità venire tradite, e sul timore degli effetti negativi di una fiducia malriposta. Mentre la fiducia implica la confidenza, la sfiducia si fonda sulla diffidenza.

Nella vita reale, comunemente esse si presentano commiste, e non necessariamente in contraddizione tra loro. Dato l’ampio margine di imprevedibilità dei comportamenti umani, la sfiducia tempera la fiducia, mettendola in guardia, mantenendola vigile; e la fiducia tempera la sfiducia, liberandola dalla paralisi. Entrambe non possono elevarsi a criterio generale di relazione. Entrambe vanno protette mediante una disciplina esterna, che riduca al minimo i danni di una fiducia malriposta.

La fiducia, se temperata e protetta, è a fondamento di ogni ordinamento sociale sano; al contrario il prevalere della sfiducia ne segnala una condizione patologica, temporanea o cronica. L’esposizione ai rischi della fiducia è assai meno grave delle pressoché certe patologie sociali e individuali a chi siamo esposti dalla sfiducia. «Una società senza fiducia – scrive Michela Marzano – è una società senza ossatura. La diffidenza è un circolo vizioso che finisce per indebolire il mondo sociale».

Ogni atto di fiducia è una scommessa, non può essere certificato a priori. Il «tradimento» è sempre possibile, quali che siano le garanzie e le tutele. Nondimeno, anche sul piano utilitaristico, la fiducia è preferibile in linea di principio alla sfiducia. La convivenza, la politica, gli scambi economici, i servizi erogati dallo stato, l’efficacia delle leggi e il godimento dei diritti individuali e collettivi non possono prescindere dalla fiducia. La sfiducia non può essere assunta a principio costitutivo del vivere sociale, e meno ancora della vita individuale. Una condizione prolungata di paura, di insicurezza e di totale incertezza del futuro rende impossibile qualunque convivenza, e si rivelerebbe prima o poi insostenibile per la psiche e la sfera emotiva di chiunque.

La fiducia nulla ha a che fare con quel «pensare positivo», quell’ottimismo da quattro soldi su cui si esercitano molti spacciatori di banalità. La fiducia è anzitutto un fatto intersoggettivo, ha a che fare con la nostra socievolezza e con la sfera affettiva, con le relazioni di affidamento, imperniate sui sentimenti di benevolenza, di simpatia, d’amicizia, d’amore e di stima, delle quali abbiamo bisogno per la nostra sicurezza. Non vi è opinione comune più sbagliata di quella che oppone e separa tra loro fiducia e sicurezza. Il riconoscimento è alla base della sicurezza; l’insicurezza si manifesta davanti all’ignoto e al disconosciuto.

L’umanità, davanti all’ignoto, si è dotata di una serie di protesi sociali utili a porlo sotto controllo in modo di dominare la paura. Gli impegni pubblicamente assunti, i contratti legalmente riconosciuti e le sanzioni previste dalla giurisprudenza o dalla prassi sociale in caso di loro violazione altro non sono che istituti, formali o no, elevati a protezione della fiducia. Fino a che le relazioni intersoggettive si sono intrattenute su piccola scala, entro comunità ristrette, la garanzia fiduciaria si riduceva sostanzialmente alla parola data: essa impegnava direttamente tutta la persona nei confronti di un’altra, possibilmente alla presenza di testimoni. E così è ancora per le micro relazioni interpersonali che si reggono su accordi espliciti o taciti, comunque informali. Da quando, secoli fa, le catene di interdipendenza sono divenute molto lunghe e le relazioni che vi si instaurano principalmente impersonali anziché dirette, la fiducia è venuta fondandosi su scelte prudenziali, su norme cautelative. Di qui, appunto, la relazione tra la fiducia e gli istituti di natura giuridica che disciplinano, giudicano e sanzionano. Norme, accordi e contratti smussano le spigolosità della sfiducia e attutiscono i rischi di un’eccessiva fiducia. I costi sociali di queste tutele sono molto alti e crescenti, non ultimo per gli eccessi di contrattualizzazione dei rapporti personali o di quelli tra chi eroga servizi e gli «utenti». Ma proprio il fatto che tali costi siano sopportati senza troppe proteste dimostra l’irrinunciabilità della fiducia.

La fiducia non è temperata solo da istituti atti a proteggerla. La migliore protezione, in ultima analisi, sta in noi stessi, nel nostro stile di vita: il senso dei limiti nostri e altrui; la nostra capacità dialogica; l’accettazione delle debolezze e della fallacia di ciascuno; la capacità valutativa; la benevolenza e la correttezza come costumi relazionali; il pregio attribuito alla moralità e al rispetto della legalità; le responsabilità che ci assumiamo non solo nella microsfera interpersonale ma anche nella macrosfera impersonale.

In una parola, la fiducia non si decreta, non si impone per legge, non si esige: nasce e si dona, si conquista e si conferma. Ma perché possa esservi fiducia in una società complessa e impersonale, serve un grado molto elevato di autenticità. Una parola molto più densa e più forte dei termini normalmente in uso: credibilità, affidabilità, serietà. L’autenticità è l’anima delle relazioni interpersonali; il suo scemare ne accompagna la corrosione e l’inaridimento. Nella sfera impersonale, come già per la fiducia in se stessi, anche la fiducia negli altri è divenuta un processo di marketing. Molte relazioni fiduciarie che presiedono gli scambi economici asimmetrici tra produttori e consumatori sono connesse a svariate forme di fidelizzazione, Il segreto di queste astuzie consiste nel tentativo di accreditare relazioni impersonali come relazioni personalizzate. Anni fa un cantante lirico ormai spompato declamava per pubblicizzare un Banco: «Conti, perché non sei solo un conto». Tutti sappiamo come quel Banco, con le sue roboanti promesse, sia andato a finire… Si tratta, come si evince, di sottrarre la comunicazione alla dimensione retorica, persuasiva e suasiva, e alla asimmetricità radicale che la caratterizza. Una società più partecipata, più formata e più informata potrebbe offrire alla fiducia tutele cognitive e critiche più forti, e consentirle di dispiegarsi con serenità.

I primi interessati alla pratica dell’autenticità sono, ovviamente, i politici, la categoria più sfiduciata in tutto il mondo liberaldemocratico. Ma al momento, per quel che vediamo, seguitano imperterriti ad estorcere fiducia per poi perderla sempre più rapidamente… Ma questo è un altro discorso.

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