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Apologie Paradossali

MATTARELLA/3 ARBITRO E ALTRO

COSTANTE PORTATADINO - 06/02/2015

La Giustizia nell’Allegoria del Buon Governo di Lorenzetti a Siena

La Giustizia nell’Allegoria del Buon Governo di Lorenzetti a Siena

Oggi niente acrobazie dialettiche, nessun personaggio antagonista, meglio non rischiare fraintendimenti. Troppo delicato è il tema: che cosa ci aspettiamo dal nuovo Presidente della Repubblica.

Dobbiamo partire da quanto da lui stesso affermato: sarò imparziale, ma i giocatori mi aiutino. Veramente ha detto anche molte altre cose, attinenti alla politica, ma talvolta sporgenti sulla concezione della società, della persona e della morale civile. Questo mi è apparso sorprendente, per un verso, conoscendolo come persona sobria negli atteggiamenti e prudente nelle valutazioni; molto coerente, invece, pensando alla sua formazione culturale, agli indirizzi politici espressi negli anni del comune impegno parlamentare nelle fila della Democrazia Cristiana.

Sorgono due domande (che sono forse due aspetti del medesimo problema): può essere imparziale un arbitro scelto da uno dei giocatori e come può un arbitro presentarsi con un programma che non sia solo far rispettare le regole del gioco?

La risposta non c’è, non ci può essere, quella dell’arbitro è una trasgressione metaforica, che non può assumere valore sostanziale.

Cerco di mettermi dalla parte dell’enunciatore: nel giurare di essere fedele alla Costituzione, ne sottolineo i tratti che ritengo fondamentali, ben sapendo che contengono sia un valore normativo, sia una indicazione evolutiva. So anche che i miei poteri vanno ben oltre quelli dell’arbitro e che non vi posso rinunciare, nemmeno se volessi, so che le necessità dell’Italia (e l’esempio dei miei predecessori mi conforta) richiedono una capacità di intervento anche deciso e tempestivo.

Posso pure riconoscere che le partite siano due, quella giocata in parlamento e nelle elezioni dai partiti, di cui sono arbitro, e quella giocata nel campo della nazione nel suo complesso, in cui gioco da solo contro la forza d’inerzia dello status quo, annidato sia nelle istituzioni sia nella società civile, sotto forma di autodifesa degli interessi costituiti.

Ritornando al mio punto di osservazione, sono convinto che Mattarella, avendone le qualità e l’intenzione, giocherà entrambe le partite. Come arbitro sono convinto che non ce ne sarebbero di migliori. Questo nonostante il passato “antiberlusconiano” (le famose dimissioni da ministro a causa della “legge Mammì”), le cui premesse sono ampiamente superate. Anzi, penso che l’equilibrio istituzionale che gli sarà necessario per svolgere il programma presidenziale possa essere assicurato solo da un centrodestra non emarginato. Rimarrà figlio spirituale di Moro, non certo di Occhetto, quindi opererà in funzione di una conciliazione e non di una ulteriore sottrazione di legittimazione alle opposizioni.

Meno chiaro è il “programma” presidenziale. Non è previsto che ci sia, eppure c’è, non può non esserci, almeno da quando il sistema elettorale proporzionale, secondo me connaturato con la Costituzione, è stato sostituito da sistemi sempre più maggioritari, mattarellum compreso.

Nel momento presente, la necessità oggettiva di riforme istituzionali, sociali ed economiche e la nuovissima propensione del PD ad attuarle, richiedono che anche il compito di garante della Costituzione non si riduca ad una funzione notarile, ma sappia diventare interprete di convinzioni e di esigenze non rappresentate dal solo partito di maggioranza relativa, reso dominante dal premio elettorale.

Un programma presidenziale necessiterebbe di una indicazione e di un supporto più esplicito e autorevole di una designazione trovata al “caminetto”, seppure ben riuscita. Il desiderio di ogni “king maker” è sempre quello che il “re”, una volta incoronato, riduca al minimo le proprie ambizioni di governo e si limiti a regnare.

E Renzi, che appare sempre più determinato da uno stile ispirato dal “Principe” e non dal manuale di Baden Powell, fondatore dei boy scout, potrebbe sentirsi imbarazzato da una presenza istituzionale non docile.

Ora posso tirare una prima conclusione, un auspicio, non volendo affatto osare di dare un consiglio: il Presidente interpreti il suo compito non come un professore o come un giudice, alla ricerca di forme astratte di perfezione, di coerenze cristalline piuttosto improbabili in politica, ma con la libertà di giudizio del politico vero, orientato alla ricerca del bene comune e coerente con questo, piuttosto che con i propri presupposti ideologici.

Ma per il futuro, il problema di una più autorevole legittimazione di un simile potere si pone.

La dilatazione di potere che il premio di maggioranza importa nel consesso dei grandi elettori non può non essere sentita come una anomalia, se la cospicua maggioranza parlamentare non rappresentasse, come già oggi, un terzo degli elettori. Ben sapendo che non è nemmeno pensabile una trasformazione della Repubblica in senso presidenziale, l’elezione del Presidente da parte del corpo elettorale conferirebbe al detentore della carica, pur a poteri invariati, un’autorità e una capacità di continuità di cui l’Italia ha oggettivamente bisogno.

Tre anni di Matteo Renzi e sette di Mattarella sono un tempo sufficiente a trovare le regole e le modalità pratiche, senza che parlamento, partiti e noi tutti ne usciamo tutti … matti!

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