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Diario

SULLE ONDE DELLA VITA

CLAUDIO PASQUALI - 14/01/2012

Nicolò era un uomo simpatico, alto circa un metro e novanta, atletico, di carattere allegro e non dimostrava i suoi sessantasette anni. Eravamo diventai amici perché, quando mi presentai nelle elezioni comunali del 2005 come consigliere dello schieramento moderato, mi sostenne politicamente. Inoltre quando era arrivato a Laveno da Milano nel 2000, aveva comprato un piccolo cabinato e spesso mi invitava a fare dei giri sul lago. La sua vera passione però era il surf con cui si era cimentato anche in gare con ottimi risultati. Sul cabinato aveva anche un cucinino dove ci si faceva da mangiare, di solito una pastasciutta al sugo quando stava via una giornata intera.
Un giorno mi disse che aveva un dolore vago epigastrico, gli feci subito un’eco che rivelò un cancro al pancreas inoperabile. Mi limitai a dirgli che si trattava di una malattia che non era guaribile e che avrebbe potuto dargli molti dolori soprattutto avanti nel tempo. Non ne fece un dramma e prese la vicenda con un certo distacco. Lo inviai ad un famoso istituto per il trattamento dei tumori dove impostarono una terapia sperimentale che diede degli ottimi risultati, era come se non avesse avuto più il tumore. Aveva dolore solo dopo mangiato ed io gli facevo prendere quindici gocce di morfina prima dei pasti che lo facevano stare veramente bene. Così del tumore non parlavamo quasi mai, era come se fosse sparito dai nostri rapporti, o rimanesse nel sottofondo dei nostri pensieri. L’unico effetto collaterale era alle mani, che diventavano fredde e dolenti. L’aiutavo nelle manovre per alzare le vele sul cabinato e per ormeggiare.
Durante le traversate del lago di solito andavamo alle Isole o a Santa Caterina. Il nostro rapporto era di una amicizia profonda, ma che rispettava la libertà reciproca. Lui era contento di avermi amico e medico. Ed io di averlo come paziente e amico. Ebbe modo di raccontarmi un po’ della sua vita avventurosa. Mi disse che aveva fatto il fabbro, un lavoro molto faticoso, poi i serramenti, e che aveva impiantato anche una ditta che gli dava un discreto benessere. Aveva avuto una bella famiglia con figli e una moglie che l’adorava. Avrebbe desiderato vivere in pensione sul lago e quel suo sogno si realizzò, purificando la mente e i polmoni nell’aria ventosa, nonostante fosse un accanito fumatore. Mi sembrava che uscire spesso con lui sul lago fosse come un complemento alla chemioterapia tanto si sentiva spensierato, felice e contento.
Era stupendo il panorama dei monti e delle coste viste dal centro del lago. Soprattutto Nicolò sentiva che non era solo. Andammo avanti bene tre anni dalla diagnosi del tumore. Una domenica di sole, era agosto, uscimmo a fare un giro molto bello, il martedì mi chiamò a casa urgentemente per un dolore acuto addominale. Iniziai con una morfina in vena: il dolore si calmò alla quinta fiala diluita in flebo, poi lui si addormentò e due ore dopo morì senza accorgersene, con la mia compagnia, mentre raccomandavo la sua anima alla misericordia del Signore. La chemioterapia fu veramente utile perché gli permise una vita normale sino all’ultimo giorno. Se è bello assistere alla nascita, come avvenne per le mie tre figlie e i miei sei nipoti, così è bella “sorella morte”, racchiude qualcosa di grande e misterioso che richiede un profondo rispetto ed una intensa compassione. Mi affascina perché mi proietta a pensare la vita in un’altra dimensione.

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