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Attualità

PENSIERI SUI MURI

MANIGLIO BOTTI - 13/02/2015

“Botta e risposta” ai tempi della guerra in Vietnam

“Botta e risposta” ai tempi della guerra in Vietnam

Pensiamo ai Camuni. Da millenni, da secoli l’uomo scrive e disegna su pareti di roccia e, in seguito, sui muri. E quasi mai si firma. A meno, in tempi molto ma molto più recenti, di qualche writer con velleità artistiche.

Di scritte sui muri, di striscioni, di messaggi diretti o subliminali vogliamo parlare immersi come siamo nel clima carnevalesco. È una brevissima e scelta cronologia di scritte e di insegne moderne e contemporanee, che parte dalla fine della seconda guerra mondiale e arriva all’oggi di cui si può dare personalmente conto.

Primavera del ’45, notte, Emilia-Romagna, il greto di un torrente con alte pareti di cemento in leggero declivio per contenere le esondazioni ma non gli scrittori politici. L’autore dell’opera – trattenuto e mollato da complici con un sofisticato sistema di corde e seggiolini tipo altalena – si fece calare con un secchiello di biacca e un grosso pennello. I caratteri della scritta dovevano essere alti un paio di metri di modo che si potessero leggere da grande distanza. Bisognava fare bene e in fretta, pennellare e pennellare e via. La soddisfazione della missione si sarebbe goduta al mattino. Ahinoi, subito spenta sulle labbra, anzi agli occhi: la delusione, l’amarezza, la rabbia.

Ecco la scritta – gigantesca – che apparve nella bruma appena trafitta dal primo sole: IL POPOLO NON PEDONA. Come dire, per una tremenda vendetta del destino, che il popolo almeno lì in quelle terre calde di politica e sempre in fermento non va mai da nessuna parte. La R era rimasta nel secchio.

Nel 1948 la lotta tra il partito cattolico della Democrazia cristiana e il Fronte Popolare – in pratica l’intera sinistra, la moderata e la più reazionaria – fu senza quartiere in Italia. Magari, a leggere gli eventi con il senno di poi, con uno stile diverso rispetto a quanto accade ai nostri giorni, ma tant’è. In un piccolo paese a ridosso di due comuni lombardi – la vicenda è stata raccontata (e la può ancora confermare) da un protagonista in quegli anni adolescente – sempre di notte un manipolo di ragazzi, un po’ anarcoidi e in fondo non legati né all’una né all’altra parte, sul candido muro della casa del coadiutore, a fianco della parrocchiale dei santi Brigida e Carpoforo, produsse in vernice la seguente frase: ABASO I PRETI W IL PARTITO COMUNISTA ITALIANO. Così, con le doppie volontariamente abbandonate, come se la dicitura fosse stata portata a compimento da un veneto illetterato in missione segreta. “Don Cesare – dissero i marpioni il mattino successivo al sacerdote sconcertato e irato al tempo stesso – se vuole, la cancelliamo subito”. “No che rimanga lì, almeno per qualche giorno, perché i fedeli capiscano quanto questi nemici della Chiesa siano ignoranti!”. Le elezioni – e questa è storia – andarono come andarono: la Dc, guidata da De Gasperi, ebbe una grande maggioranza e superò di poco il quarantotto per cento, mentre il Fronte democratico popolare si arrese con un trentuno per cento. Non s’è mai saputo, né mai si saprà ovviamente, quanti voti nel paesino lombardo furono proditoriamente conquistati nell’area cattolica con una semplice scritta murale.

Scritte, oggi, se ne potrebbero citare a centinaia. Su due dolcissime in particolare si vuole fermare l’attenzione, perché registrate qui dalle nostre parti, poco tempo fa. La prima a Casciago: “GIADA GE TEME”, proprio così, in un francese italianizzato nella scrittura da uno studente impreciso che voleva andare subito all’osso. La seconda, in vernice nera, ha campeggiato per anni su un muro lungo via del Nifontano: “CIAO MICETTA TI AMO”, dove con tutta evidenza il termine micetta non era proprio riferito all’animale domestico.

Sugli striscioni, specie quelli inalberati in occasione di confronti calcistici, si potrebbero scrivere tanti libri da riempire gli scaffali di una biblioteca. Ci fermiamo a uno solo, a un confronto Como-Napoli, quando ancora la squadra partenopea bazzicava la serie B. La sfida, almeno dal punto di vista della fantasia lessicale, fu vinta dal Napoli: “VOI CO’ MASCHI NOI CO’ ‘E FEMMENE…”.

E anche le insegne possono dire qualcosa. Il vezzo, da una ventina d’anni a questa parte, di accompagnare da noi il nome di luogo italiano con quello dialettale, come se si vivesse in Alto Adige, ha in un certo senso messo nell’angolo l’Amministrazione di Cittiglio ove, all’ingresso del borgo, sotto il nome Cittiglio campeggia quello (antico?) di Stì. L’attacco, a onor del vero rintuzzato con un’immediata cancellazione, fu portato a compimento da un intruso con reminiscenze romanesche, che completò in vernice bianca la scritta STI’ con l’aggiunta C…ZZI. Non conosciamo bene, in quanto anche noi di importazione, il dialetto bosino. Certo che se la scritta fosse stata “CITTILI”, sarebbe stato nel contempo molto più difficile intervenire.

E infine – bellissima – l’insegna di un negozio in quel di Rimini, nel centralissimo viale Tripoli che dal borgo porta verso il mare: iPiad, scritto così a metà strada tra la rivoluzione degli strumenti informatici e la tradizione gastronomica locale di piadine e cassoni che va pur sempre difesa e in qualche modo onorata.

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