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Ambiente

IL DESTINO DELLA BEVERA

FRANCESCO BORRI - 19/06/2015

inertiUna «Intesa di coordinamento transfrontaliero» firmata recentemente nella località ticinese di Mezzana prevede l’accelerazione dei passaggi in dogana di rifiuti definiti «inerti» (ma che inerti non sono) prodotti in Svizzera e smaltiti in Italia, per una stima di circa tre milioni di metri cubi. La Svizzera rifiuta di abolire i controlli di frontiera in entrata su tutte le merci tranne una, la sabbia, mentre pretende non ve ne sia nessuno sui propri «inerti» in uscita.

Non è facile capire perché le autorità italiane accondiscendano senza batter ciglio a questa richiesta. Chi ci guadagna dall’intesa di Mezzana? Ci guadagna la popolazione ticinese, perché vede protetto il proprio ambiente, il paesaggio e le falde acquifere a scapito della popolazione del Varesotto. Ci guadagnano i costruttori edili ticinesi, perché potranno smaltire in uscita dei rifiuti indesiderati senza problemi, e perché in entrata avranno la sabbia in tempi più rapidi, con percorsi più brevi e a minor costo. Ci guadagnano i trasportatori di entrambe le parti, perché i camion andranno e verranno di qua e di là della frontiera pieni mentre prima compivano un viaggio a vuoto. Ci guadagnano i cavatori italiani di sabbia, e alcuni privati che gestiscono lo smaltimento.

Chi ci perde, invece? Tutti gli altri abitanti della provincia di Varese che vivono, oltre che nel capoluogo, nei comuni di Induno, Arcisate, Bisuschio, Viggiù, Saltrio, Clivio, Cantello e Malnate. La vicinanza al confine, infatti, mette a rischio le zone destinate a cave – che danneggiano il paesaggio e l’ambiente, specie là dove sotto le sabbie si trovano delle falde acquifere – e quelle che ospitano discariche, e in particolare la Valle della Bevera.

E tuttavia nessuno dice niente. I politici che decidono firmano. Quelli che dovrebbero opporsi tacciono. Le istituzioni preposte non danno segni di vita. I mezzi di informazione, per lo più, non mostrano interesse. I cittadini, non informati, restano passivi o sono indotti a credere che è anche nel loro interesse che qualcuno della zona ci guadagni. Solo poche associazioni ambientaliste – tra le quali Amici della Terra –, qualche personalità illuminata e il Comitato #Varese 2.0 si danno da fare per denunciare i pericoli.

La Valle della Bevera è una zona peculiare e di grande importanza ambientale. È la grande risorsa idrica di Varese e del suo hinterland: circa 220mila persone fruiscono di questa risorsa comune per bere, cucinare, lavarsi. È una zona originariamente destinata a parco, prima che altre scelte inducessero a sospenderne l’attuazione nel più totale silenzio delle istituzioni. Conserva un grande pregio paesaggistico, nonostante gli sfregi di alcune cave, di scelte sbagliate nella progettazione del percorso della Ferrovia Arcisate-Stabio e, ai suoi limiti, con la costruzione di un discutibile e dispendioso passante stradale tra Bisuschio e Induno. È un corridoio ecologico europeo, per via delle zone umide vitali per gli uccelli e per la sua biodiversità. È uno splendido luogo per passeggiate, attività escursionistiche e di didattica ambientale. Purtroppo, la Valle della Bevera ha la sfortuna di essere vicina al confine, di essere ricca di quella sabbia che fa tanta gola ai costruttori svizzeri, e di essere sottoposta ad autorità politiche che preferiscono svendere il territorio e i beni comuni a favore dell’interesse di pochi anziché del bene generale.

Ma l’inquinamento di questa valle non è cosa nuova. La prima ferita si ebbe con la cava Tre Scali, sorta nel territorio di Cantello. Nel 2006 in un’altra cava nel territorio di Cantello furono trovati, stoccati sottoterra, 12.000 m³ di catrame liquido, eternit e amianto. Poco dopo, nella cava Rainer, furono ammassati su una superficie di 25.000 m² dei materiali derivanti da demolizioni edili classificati come rifiuti speciali e rilasciati sul terreno contravvenendo le norme. Nel 2009 venne alla luce il caso della cava Femar, a proposito della quale il procuratore capo Maurizio Grigo ha parlato di «113.000 m³ di inerti provenienti dal Ticino contaminati da amianto, arsenico e nichel».

La parte settentrionale della Valle è tagliata in due dal luglio 2009 dall’Arcisate-Stabio, un collegamento ferroviario di assoluta importanza, ovviamente da approvare, ma che avrebbe dovuto essere progettato ed eseguito in ben altro modo e con adeguati controlli. Un solo esempio: per consolidare la galleria, peraltro non finita, si è ricorsi a infiltrazioni di una miscela di calcestruzzo, particolarmente inquinante e prodotta in una vicina centrale di betonaggio. Nel 2013 l’inquinamento è emerso in tutta la sua gravità, e i lavori sono stati sospesi. Le opposizioni si erano già mosse con comitati spontanei, successivamente sostenuti da alcune associazioni ambientalistiche. Ma sono rimaste inascoltate.

Un’ultima minaccia verrebbe dalla ventilata Cava Nidoli, che dovrebbe sorgere a un chilometro circa dall’imboccatura varesina della valle con possibili danni all’acqua pubblica e al paesaggio, oltre ai problemi per l’apertura di una via di trasporto da collegare sia con la superstrada per Lozza, sia più a monte, verso Cantello, con un grave incremento dei volumi di traffico di mezzi pesanti. I lavori non sono ancora cominciati, probabilmente anche a causa del crollo della domanda di sabbia per via della crisi edilizia.

Soprattutto l’esperienza della realizzazione dell’Arcisate-Stabio ha dimostrato che i controlli sono o inesistenti o insufficienti o inaffidabili. Non si va a vedere dove bisogna vedere, e si va a vedere dove non c’è niente da vedere. Nessuna delle istituzioni pubbliche preposte ha fatto i dovuti controlli, anche perché mancano risorse umane e finanziarie.

Quanto a quelli affidati ai diretti interessati, è ovvio che i privati seguono logiche di profitto incompatibili con la tutela dell’ambiente, e nello specifico caso delle falde dell’acqua, un bene comune che il plebiscito popolare della primavera 2011 ha voluto difendere con le unghie e con i denti dagli speculatori.

Su questo è bene vigilare, e premere perché sia fatto tutto il possibile, e anche di più, per monitorare, aggirare complicità e indebite pressioni ed evitare ulteriori decisioni avventate. Un appello è rivolto in particolare a tutte le associazioni ambientaliste perché si uniscano in uno sforzo comune, agli organi di informazione perché adempiano ai doveri loro imposti dalla deontologia professionale, alle autorità regionali, provinciali e locali perché difendano sul serio gli interessi del nostro territorio, e ai partiti, perché smettano di fare gli struzzi.

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