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Cultura

MARRANI: LA SCULTURA È MEMORIA

LUISA NEGRI - 03/07/2015

marr1“Il lavoro che mi appassiona sta nel costruire, di grado in grado, degli oggetti materialmente semplici e complessi”. Gli oggetti sono le sculture di Ruggero Marrani, le creature uscite dalle sue mani in anni di lavoro e di ricerca: ricerca di materiali, di colori, di invenzioni che neppure lui sa ancora inquadrare. “Non sono ancora riuscito a definire bene quello che sono… e non sono riuscito a definire le mie opere, le ho definite aerosculture, però non so sinceramente come catalogarle”. Così raccontava se stesso e la propria arte, in assoluta semplicità, a un amico che lo intervistava anni orsono. Oggi le opere di Marrani sono all’Expo e alla Biennale di Venezia 2015, dove è presente con “Dialogare è: lavorare per la pace”, un’opera del 2015 in ceramica policroma. Con “Storia di dame e cavalieri: il Cavaliere errante” e la “Sculturarumore. Tensioni incrociate in equilibrio instabile con cinque corde”, una terracotta refrattaria policroma realizzata nel 2010 con smalti, ossidi, reagenti e corde sonore su lastra in acciaio riflettente e basculante, espone invece per Expo.

Un nome da imparare il suo, un buon nome d’artista, valente come ce ne sono d’altri anche nella nostra piccola terra. Anni di lavoro, di sudore, d’intelligenza applicata alla leggerezza dell’arte. È grazie soprattutto a questi – grandi – uomini che il mondo va avanti, alla loro severa umiltà, alla loro operosa solitudine, al loro coraggioso digiunare: in parole, in gesti, in enfatiche autocelebrazioni. La grevità di un mondo che ci opprime sempre più con violenze, planetarie o d’ individuale quotidianità, con debolezza mentale di uomini cosiddetti potenti, in realtà impotenti e pomposi, inadeguati ai ruoli ricoperti, ha il contrappeso nobile in figure di silenziosi e operosi lavoranti, creatori di beni preziosi, spesso invisibili ai molti. Se cercate saggezza, se cercate fantasia, se cercate poesia, se cercate verità e attenzione, è alle porte dei loro laboratori d’arte che dovete bussare per chiedere. Varcate le loro soglie, anche se avete pudore di farlo. E troverete, statene certi, sicura consolazione.

Nato a Corridonia nel 1941, nipote di un noto architetto, Ruggero Marrani apprende nello studio avito quell’interesse per il gusto del costruire che sta alla base del suo fare. Allievo del pittore Gerardo Dottori, caro amico di famiglia ed esponente del secondo Futurismo, è da lui incitato, e seguito, durante e dopo gli anni d’Accademia. Per motivi di lavoro si trasferisce a Varese nel 1968, dove gli viene assegnata la cattedra di Figura e Ornato disegnato presso il Liceo Artistico di Varese. Dopo l’iniziale dedizione alla pittura, espressa nel tema del paesaggio, si appassiona alla ceramica e via via abbandonerà la pittura per dedicarsi sempre più alla scultura, pur continuando a incentrare la sua arte attorno al tema prediletto. Le case, i musei, i piccoli agglomerati urbani inscritti nel paesaggio sono per lui- figlio di geometra e nipote di architetto- rappresentazione incancellabile del nostro passato. Ecco perché per Marrani proprio all’artista tocca il compito di ricordare, rappresentandolo, questo passato che rischia, per umana incuria, di essere distrutto.

marr2Chi visita la sua casa-studio di Barasso s’imbatte in opere che ben raccontano l’evoluzione della sua arte. Dalle prime pitture, eseguite sotto gli insegnamenti di Dottori, alle prime ceramiche: sono loro a raccontare ancora la sua visione iniziale di città. Nelle terrecotte grezze o smaltate dai lucidi, ecco le planimetrie umbre di Assisi, di Gualdo Tadino, di Foligno, e Lucignano, o quelle toscane di Volterra e del Chianti: immagini morbide di pendii declinanti, di agglomerati di case alte sui colli o di isole abitative disperse in pianure allungate, il tutto plasmato nella creta, con amore e perizia. Questo tema, mai abbandonato, anzi sempre presente nell’evoluzione della sua ricerca, accompagna come un marchio di fabbrica la produzione di Marrani: l’occhio dell’artista, occhio d’aquila che dall’alto osserva e definisce i confini del suo piccolo mondo, s’addentra col cuore in cunicoli d’immaginaria umanità, infila sicuro nuove strade, trovando fantasiose soluzioni in cui dinamismo, ricerca materica e coloristica, dimensione fantastica e poetica si sposano felicemente. Rispondendo a quella crescente esigenza ludica di avvicinare sempre più la solidità terrena alla leggerezza del volo, di chiudere ogni inopportuna distanza tra illusione d’artista e concretezza del vero. Insomma quel volo serve a librarsi in alto, ma anche a capire quanto allontanarsi possa servire ad avere giusta contezza dell’umanamente definito. Il desiderio di costruire, o ricostruire nell’opera ciò che nel mondo reale rischia di essere dimenticato o volontariamente messo da parte si ritrova, oltre che nei temi, anche nei materiali impiegati dallo scultore Marrani: non solo ceramica, alla base delle sue creazioni, ma anche ferro e legno, pezzi recuperati da botteghe artigiane, o abbandonati ad un inutile destino dai proprietari, servono a creare quella magia che fa, per esempio, di un elemento circolare in terracotta uno strumento musicale interattivo. Attrezzato di una base basculante, di corde e di una cassa armonica, si presta a performance sonore di cui è già stata data stupefacente dimostrazione in più occasioni. L’opera magica di Marrani è anche opera dal destino generoso: se molte mostre invitano a non toccare, in quelle di Marrani s’incita a fare il contrario: sue rassegne, dedicate ad esempio a non vedenti, hanno messo in primo piano questa necessità anche tattile di connubio tra arte e pubblico. Anche un bambino deve potersi rapportare con l’opera, farla cantare, muovere, girare su se stessa. Se il gioco d’equilibrio è realizzato al meglio, con perfetto calcolo matematico e fisico, l’opera dinamica non rischierà nulla e accrescerà il suo valore facendosi intermediaria attiva tra l’artista e il suo pubblico.

Marrani ama particolarmente questo contatto tra le sue opere e chi le osserva, lui stesso ospita e invita i bambini – nel suo studio, o negli spazi museali – a confrontarsi con l’arte. Insomma, nel suo fare vive anche una sorta di piacere del gioco e della rappresentazione, di un teatro che la sua opera continuamente ripropone. E che può permettersi infiniti atti: dalla scenografica illustrazione di una cantica dell’Inferno, lavoro che se avesse uno sviluppo in scala più grande sarebbe di per sé già perfetta architettura teatrale, alla sacralità della nostra montagna varesina, fissata in “Forze dinamiche ascensionali: simbologia del Sacro Monte”, 2000: tre chiodi infissi nel legno rimandano a quella passione ricordata fin dal Seicento sulla Via Sacra, antico luogo dell’anima dove il passato è eterno presente.

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Sul sito di Radio Missione Francescana un’intervista di Annalisa Motta a Ruggero Marrani

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