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Opinioni

ETERNO PROBLEMA GIOVANI

FELICE MAGNANI - 10/07/2015

disagioIl disagio giovanile è presente nelle nostre vie, nelle nostre piazze, sotto i campanili, negli oratori, nelle famiglie, nella scuola, nei bar, un po’ dappertutto insomma. Spunta fuori in tutte le ore del giorno, ma preferibilmente di sera, con il consenso del buio, che aiuta a consumare meglio l’energia trasgressiva a danno delle persone e della collettività.

L’attivismo paradelinquenziale nasce anche così, da ragazzi abbandonati al proprio destino, da un diffuso pressapochismo, da varie forme di omertà, da una estesa ignoranza sociale, dalla non volontà di affrontare il problema, da una democrazia che si è trasformata in anarchia, da una mancanza di autorità e di autorevolezza che coinvolge un po’ tutti, soprattutto chi ha il compito preciso e inderogabile di far rispettare le regole del sistema comunitario.

I giovani sono in molti casi figli di una società che ha imparato a fare finta di niente, a chiudere sempre gli occhi per non pagare dazio, una società che non conosce più il significato di un diritto o di un dovere, che non sa cosa sia il rispetto, che non teme più l’autorità ma che, anzi, la combatte, come se si trattasse di un nemico da abbattere. Coinvolte in queste malinconiche forme di lassismo sono in primo luogo le famiglie, sempre più assenti sul piano educativo. Assistiamo infatti a ragazzini e a ragazzine di undici, dodici, tredici anni lasciati in balia del buio a combinare guai, a urlare il loro disagio, mentre il mondo adulto ascolta sbigottito, incapace di comprendere che cosa si nasconda nell’animo di ragazzi che dovrebbero gioire e far gioire il prossimo del bellissimo dono della vita che hanno ricevuto.

Sono problemi di tutti i giorni che nessuno affronta pur conoscendo i fatti. Mentre il mondo parla di economia, di banche e di finanze perdiamo completamente di vista l’educazione, ci dimentichiamo che tutto nasce da lì, da un rapporto chiaro e consapevole con noi stessi e con la comunità nella quale viviamo. Ci dimentichiamo che siamo genitori, educatori, che abbiamo il sacrosanto dovere di amare sul serio i nostri figli, di sapere cosa fanno, come si comportano, chi frequentano, se quando escono dalla porta di casa sono per davvero quelli che raccontiamo alla vicina di casa o se invece non portino all’esterno problemi e conflitti vissuti tra le pareti domestiche, nel profondo del loro animo.

Il problema dei minorenni è enorme, da non sottovalutare, perché un giorno ce li ritroveremo adulti con il rimorso di non aver fatto fino in fondo il nostro dovere di padri, madri, di adulti consapevoli. Le periferie di cui parla papa Francesco sono sotto casa nostra, nell’oratorio, nel piazzale della chiesa, in quei luoghi dove la presenza cristiana dovrebbe dare un’immagine di consapevolezza e di senso di responsabilità.

Ci troviamo di fronte a un menefreghismo totale e così il disagio avanza, creando ampi spazi d’ inciviltà. Capita sempre più spesso di sentire giovani che bestemmiano nelle vie, in famiglia, in oratorio, a scuola, come se la bestemmia fosse un modo intelligente di gettare in faccia al prossimo il proprio dissenso. Ci sono ragazzini che cantano cori sotto le finestre della gente, che ruttano, che oltraggiano, che si lasciano andare a frasi sconnesse, che piroettano con le auto e con le moto, quelli che imbrattano i muri con le bombolette. Ragazzi e ragazze che si riempiono di birra e di aperitivi, che fanno uso di sostanze proibite, che offendono, intimidiscono, giovani che gettano al vento gli anni più belli della loro vita, con il consenso di un buio totale, in cui sprofondano senso di responsabilità, legalità, valori e sentimenti. E la gente si domanda dove siano le famiglie, che cosa stiano facendo mentre i loro figli distruggono il loro patrimonio morale.

Tutto questo perché chi ha il compito di educare non educa o educa poco e male, chi ha il compito di pensare ai giovani e ai loro bisogni pensa solo a se stesso, manipolando la buona fede della gente. E così le piccole palestre di delinquenza periferica diventano grandi fino a trasformarsi in piazze, perché non bastano più gli angoli, i vicoli, i piccoli spazi, il disagio ha bisogno di manifestarsi su larga scala, deve trovare varie forme di visibilità, di legittimazione, deve diventare annientamento del nemico.

Ed eccoli i nostri giovani che approdano al totale disprezzo della vita umana. Qualcuno si domanda: “ Ma quei ragazzi avranno una famiglia?”. “Ma quei ragazzi perché sono diventati così?”. In molti casi le domande restano senza una risposta convincente, la tendenza è sempre quella di sfumare, per evitare di inimicarsi persone, elettori, amici e così via, la classe dirigente è diventata “diplomatica”, non prende posizione, lascia fare, la tendenza è quella di evitare di assumersi responsabilità che possano in qualche modo destabilizzare il potere conquistato. La diplomazia riguarda tutti anche coloro che papa Francesco invita quasi quotidianamente a fare le cose che contano, a stare con la gioventù, proprio come faceva don Bosco, quel salesiano straordinario che c’era sempre, soprattutto per coloro che avevano bisogno del suo aiuto. In molti casi si dà più importanza all’aspetto amministrativo rispetto a quello educativo e così la socializzazione educativa muore, sepolta sotto le ipocrisie umane.

I giovani soffrono della mancanza di autorità in famiglia, nella scuola, in oratorio, nella società civile e così crescono senza guida e senza orientamento. Gli adulti sono stati poco adulti, si sono dimenticati che l’esercizio dell’autorità è fondamentale, che la disciplina è la base sulla quale costruire il futuro di una società civile, che le responsabilità devono essere assunte a tutte le età, che una società mafiosa genera mafia. Gli adulti si sono dimenticati che lo sono diventati con fatica, qualche volta abbassando la cresta, dicendo signorsì, rielaborando giorno per giorno le frustrazioni da obbedienza. Un tempo nelle case, nelle scuole e in ogni altro ambito sociale si usava obbedire. L’obbedienza non era sottomissione, ma assunzione di senso di responsabilità. I giovani rispettavano i vecchi, lasciavano loro il posto sui pullman, li aiutavano ad attraversare la strada, accudivano i fratellini, aiutavano i genitori nelle faccende domestiche, si dedicavano all’attività sportiva per la lanciare le loro sfide, eppure non esistevano i mezzi di comunicazione di massa, le televisioni al plasma, i telefonini, i computer e tutto quel patrimonio di alta genialità umana che va sotto il nome di telematica. Ogni conquista era frutto di grandi sacrifici, di rinunce, di fatiche, di buona volontà, valori che venivano tramandati da padri e madri che avevano provato le difficoltà della vita durante la guerra, nel dopoguerra, nella povertà e nelle malattie e che avevano fatto tesoro delle loro esperienze. Non c’era l’istruzione obbligatoria, non c’erano le discoteche, non c’era la droga, non c’erano le pasticche dello sballo, ma c’era una gran voglia di vivere la vita nella sua straordinaria bellezza. Se il prezzo che dobbiamo pagare al progresso è la perdita fisica, umana e morale dei nostri giovani vuol dire che abbiamo sbagliato tutto, vuol dire che non è il progresso a determinare il nostro livello umano.

Credo sia diabolico continuare a premere sull’acceleratore, quando il motore è fuso, bisogna fermarsi e ricorrere al meccanico, a chi è capace di aggiustarlo e di rimetterlo in movimento. Il cambiamento in meglio dei giovani dipenderà in larga misura da come gli adulti sapranno porsi nei loro confronti, da come riusciranno a ripristinare un ordine credibile, da come si confronteranno con loro. È arrivato il momento di un’assunzione generale di responsabilità, di un’attivazione dell’autorità, di ripristinare l’esempio come forma di educazione visiva. Siamo alla vigilia di un cambiamento epocale o di una disfatta su tutti i fronti: sta agli uomini scegliere il loro destino.

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