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Politica

HA ANCORA SENSO VOTARE?

CAMILLO MASSIMO FIORI - 09/10/2015

Le prime elezioni democratiche nel 1948

Le prime elezioni democratiche nel 1948

In una situazione di populismi dilaganti che mettono in crisi il sistema democratico rappresentativa ha ancora senso votare? Da tempo la scienza politica ha promosso un intenso dibattito sulla qualità e i problemi della democrazia e, muovendo da una celebre tesi di Jean-Jacques Rousseau, ha riscoperto un metodo desueto ma non incompatibile per l’assegnazione delle cariche pubbliche in un sistema che attribuisce la sovranità al popolo.

Fino a tutto il Settecento era ancora vivo il dibattito tra quanti sostenevano che, per realizzare la democrazia, era necessaria l’elezione dei rappresentanti popolari e quelli, meno numerosi, che erano fautori dell’estrazione a sorte delle cariche politiche.

Il problema è tornato d’attualità in seguito alla permanente crisi della nostra democrazia liberale che sta trasformandosi in “democrazia del pubblico” dove i partiti come luoghi di elaborazione programmatica e di partecipazione politica sono diventati dei comitati elettorali o dei gruppi personali dove conta soltanto il “leader” e la ristretta cerchia dei suoi fiduciari. Inoltre le votazioni sono sempre meno strumenti di scelta di quanti godono della fiducia popolare e sempre di più momenti di ratifica di personaggi scelti in ambiti ristretti.

Del resto le elezioni libere conoscono non pochi limiti: nelle regioni dominate dalle mafie dove le mazzette di voti si comprano per poche centinaia di euro; ma anche nelle altre aree dove le tradizioni democratiche hanno radici più profonde nel comportamento degli elettori, il voto è condizionato dalle associazioni corporative che anch’esse si sono trasformate da corpi intermedi che aiutano i cittadini a dibattere i problemi e a formare una coscienza critica, in “lobby” che portano acqua al mulino dei più disparati interessi. Oggi per farsi eleggere nelle istituzioni pubbliche occorre avere a disposizione molti soldi e una piattaforma di consensi fornita da un pezzo di associazionismo asservito a interessi particolari.

Anche il giornalismo, che è uno strumento fondamentale, per una approfondita informazione e per la crescita della coscienza civica, è in crisi, spesso ha bisogno di sovvenzioni ed è messo in forse dall’avvento di Internet.

Le istituzioni democratiche sono in sofferenza: l’Unione Europea ha il 33 per cento appena di fiducia da parte dei cittadini (era il 50 per nel 2012), i governi non superano il 27 per cento e i parlamentari appena un punto in più.

In queste condizioni il voto è ancora rappresentativo di un popolo responsabile oppure riflette soltanto gli umori variabili di un elettorato frastornato con aspettative crescenti di gran lunga superiori alle risorse disponibili per soddisfarle?

In buona sostanza, la democrazia vive oggi un paradosso: suscita, in linea teorica, entusiasmo ma è affetta contestualmente da diffidenza e sfiducia verso il ceto politico. Ma si può ancora chiamare democrazia quella che si mette nelle mani di un unico uomo al comando? Se la politica perde di senso, e conseguentemente di consenso, anche la democrazia ne risente subendo gli effetti di una crisi di legittimità che si esprime con un alto tasso di astensionismo oltre al calo inarrestabile nella militanza dei partiti.

La crisi della politica e la volatilità dell’elettorato che caratterizzano la “sindrome di stanchezza democratica” trovano quattro tesi esplicative: quella populista che dà tutta la colpa ai politici; quella tecnocratica che attribuisce la responsabilità alla lunghezza e alla complessità dei processi decisionali e quella della democrazia diretta che pensa che la colpa risieda nel principio di rappresentanza.

Contro il “fondamentalismo elettorale” è tornata d’attualità la “democrazia del sorteggio” che ha dei limiti assai severi circa la sua sostanziale rappresentatività popolare ma che, sulla base del pensiero di Rousseau, si basa sulla constatazione che “la democrazia non è un regime dominato dai migliori elementi della nostra società e, dunque, la sua finalità fondamentale dovrebbe essere quella di assicurare il pluralismo e un uguale diritto di decidere delle questioni politiche da parte di tutti i suoi membri”. Con il metodo del sorteggio?

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