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Opinioni

IL TEMPO DELL’URLO

FELICE MAGNANI - 06/11/2015

urloEsisteva una volta un paese in cui le persone parlavano tra loro. Usavano un tono normale: non troppo alto e non troppo basso, era il tono di persone che avevano imparato il rispetto, che conoscevano i segreti del vivere tranquillo. A scuola, in famiglia, a catechismo e nelle associazioni si interveniva nei dibattiti e negli incontri alzando la mano o aspettando che venisse data la parola, mai senza alzare il tono di voce, mai senza sovrapporsi all’altro, sempre con la massima discrezione. Anche la gente comune aveva il suo codice fatto di poche cose, ma assolutamente puntuale nell’osservanza. Guai alzare la voce, nessuno si sarebbe azzardato.

Si viveva in una società dove i ritmi erano scanditi da regole salde e dove le relazioni erano improntate a principi e valori provati e condivisi. A scuola, a cominciare dalle elementari, il maestro o la maestra insegnavano le virtù fisiche e mentali del silenzio. Insegnavano a vivere l’ascolto, a stupirsi e a osservare con cura, a godere della pace del cuore e di quella dell’anima. Insegnavano a capire che le urla e gli schiamazzi disturbavano la quiete, impedivano alle persone di poter apprendere con la giusta disponibilità i contenuti delle relazioni sociali. Di solito le classi stavano in silenzio. Chi violava le regole veniva punito. Anche fuori dalla scuola c’erano le zone del silenzio, aree in cui bisognava stare con la voce bassa per rispettare i vecchi e i malati. I ragazzi e le ragazze parlavano, magari anche sottovoce, per una sorta di attenzione prudenziale nei confronti delle cose che andavano dicendo.

Non esisteva quella che oggi viene definita privacy, ma si cercava di rimanere nei limiti, per evitare di cadere nel rimbrotto di chi veniva infastidito. Era una società che aveva creato una sorta di confine oltre il quale non era possibile andare nell’interesse stesso della società e gli adulti davano l’esempio, ad eccezione di qualche ubriacone in preda ai fumi dell’alcol.

Oggi non è più così, l’urlo è la normalità. Si urla in famiglia, alla scuola materna, alle elementari, alle medie inferiori e alle superiori, si urla all’università, all’oratorio, nella via, nella piazza, nel vicolo, in cortile, in televisione. Gli urli sono all’ordine del giorno e in molti casi devi chiudere le finestre per ritrovare almeno un briciolo di quella tranquillità che concilia il lavoro, il riposo, la vita famigliare nelle sue diverse sfumature. Urlano gli adulti e i bambini, gli adolescenti e gli anziani, ognuno è parte attiva di un mosaico che si è imposto con la sua invadenza.

L’educazione ha cambiato pianeta, lasciando dietro di sé una serie infinita di atti di pura maleducazione. È in questo marasma che avvengono fatti e misfatti, che la democrazia si flette e si dissolve fino a diventare piacere personale, strumento di legittimazione e di garantismo individuale, dimenticandosi completamente di essere banchetto al servizio della gente, finestra sul mondo della libertà. C’era una volta il popolo con i suoi diritti, i suoi doveri, la sua supremazia rappresentativa, la sua capacità di essere sovrano e garante delle libertà, un popolo consapevole e fiducioso della propria forza sociale, morale e intellettuale, un popolo fiducioso delle proprie regole, della propria condizione civile, del proprio essere al centro di una evoluzione rispettosa, un popolo fiero della propria unità, della propria bandiera, di essere diventato libero lottando contro l’arroganza della maleducazione, magari in silenzio, senza violare la libertà degli altri.

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