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Editoriale

IMPROVVISATORI

CAMILLO MASSIMO FIORI - 13/11/2015

ImmagineLa scena politica italiana è sensibilmente cambiata con la fine del bipolarismo: dov’è la sinistra e che fine ha fatto la destra? Se sono scomparse le ideologie del Novecento, non c’è da meravigliarsi che anche i soggetti politici che ad esse si ispiravano sono venuti meno.

L’unico politico che ha capito il cambiamento epocale è stato Matteo Renzi che ha lasciato perdere i miti del secolo scorso che non sono più in grado di spiegare la nuova realtà globalizzata del mondo e ha cercato, con un certo successo, di affrontare pragmaticamente i vetusti problemi che da decenni inchiodano l’Italia ad una rassegnata stagnazione.

Certo, nell’attivismo del “premier” manca un progetto: il Partito Democratico è ridotto ad un comitato elettorale di amici e sostenitori del “leader”; non verrà da qui l’auspicato rinnovamento della politica. Ma neppure verrà dalla vecchia sinistra che è uscita dal PD per dar vita ad una aggregazione eterogenea dove non solo i protagonisti sono vecchi e logorati dal potere, ma sono ancora più vecchie e superate idee che condannano il nuovo partito alla irrilevanza.

Se il centro-sinistra cerca di sciogliere come può i nodi antichi e recenti del nostro Paese, la destra si è completamente liquefatta dopo l’esperienza fallimentare di Berlusconi che in vent’anni di governo quasi assoluto non è riuscito a realizzare le idee proclamate nelle campagne elettorali.

La coalizione da lui guidata. che aveva raccolto dietro i suoi vessilli la Lega populista di Bossi e il movimento postfascista di Fini, si è dissolta: perdendo pezzi importanti della sua inadeguata classe dirigente ma, soprattutto, il consenso di una parte rilevante del suo elettorato.

Rispetto alla situazione ante crisi economica, quando Berlusconi fu costretto a cedere la direzione della politica italiana a Monti (peraltro da lui disarcionato mentre era alla prese con una positiva azione di ricostruzione) oggi i rapporti sono capovolti. La Lega ha superato nei sondaggi Forza Italia, ridotta al dieci per cento di adesioni, mentre è Salvini, e non Berlusconi, a dettare l’agenda politica.

Il nuovo leader leghista è riuscito ad oscurare il comportamento disinvolto della famiglia Bossi e del suo “cerchio magico” di adepti, che si erano appropriati delle risorse del finanziamento pubblico del partito per fini personali; ha rielaborato in chiave nazionalista la strategia leghista. Bossi aveva predicato l’etnonazionalismo in termini regionalistici, proclamando la superiorità del Nord nei confronti del Sud e perseguendo un ideale federalista che aveva come obiettivo non quello di meglio governare il Paese ma quello di portarlo alla secessione e alla rottura del patto di unità nazionale.

Il progetto è però fallito non solo di fronte alla cattiva prova data dalle attuali Regioni e alla loro propensione a distribuire benefit e vantaggi ai loro componenti ma anche perché l’elettorato (anche quello delle Regioni settentrionali) ha bocciato il referendum di riforma costituzionale. Il nuovo segretario ha diversamente motivato il populismo leghista piegandolo alla nuova ondata nazionalista che si sta diffondendo in Europa. L’insofferenza per l’arrivo di molti immigrati che fuggono dai Paesi dove c’e la guerra e la miseria ha portato molti cittadini europei a coltivare la fallace idea che erigendo nuove frontiere e nuovi muri e ripristinando vecchi confini si possa arrestare la fiumana umana che si riversa in Europa.

È vero invece il contrario: solo in un contesto supernazionale e in un ambito di solidarietà è possibile gestire un esodo epocale che non ha precedenti della storia moderna. Il nazionalismo invece non può che aggravare la situazione, mettendo le nazioni l’una contro l’altra senza riuscire a eliminare il fenomeno. È l’idea velenosa che ha attraversato l’Europa negli ultimi due secoli, provocando guerre catastrofiche, annientando intere generazioni di giovani, annullando il primato europeo nel mondo.

Solo l’emergere del progetto europeo, dopo la seconda guerra mondiale, ha assicurato al nostro continente settant’anni di pace e di progresso economico e sociale; solo proseguendo su questa strada di cooperazione e di integrazione è possibile, diversamente da quanto è accaduto negli anni Trenta, recuperare gli effetti negativi di una delle più gravi crisi economiche del nostro tempo: le singole nazioni non sono più in grado di affrontare i problemi del mondo interconnesso dove emergono stati continentali che possono competere con successo con il vecchio continente. Quella europea non è soltanto una superiorità tecnologica, che può dissolversi, ma una capacità di mettere insieme risorse e saperi per fronteggiare problemi epocali: non solo quello della immigrazione ma anche quelli delle epidemie letali come Ebola, dell’inquinamento, del cambiamento di clima e della distruzione dell’ambiente, che mettono a rischio la sostenibilità ecologica del nostro pianeta e che non possono essere fermati da muri e frontiere.

La risposta che viene dalla Lega è dunque vecchia e obsoleta, non può portare ad alcun risultato e il contrastato incontro di Bologna di domenica scorsa, infarcito di volgarità e di accuse gratuite, è soltanto una esibizione di volontà velleitaria e di impotenza in cui il protagonista principale non è più Berlusconi ma l’estremista Salvini.

Questo incontro si colloca peraltro in uno scenario che vede il cambio degli attori della politica: da una parte il partito di Renzi che, nonostante i suoi limiti, dimostra che affrontare e risolvere i problemi si può. Dall’altra il Movimento 5 Stelle che è sulla cresta dell’onda perché il suo populismo è “perbenista”, rifugge dai toni beceri della Lega ma è altrettanto vuoto di contenuti e di proposte. Corrisponde però ad un sentimento generalizzato negli italiani secondo cui i problemi devono sempre essere risolti dagli “altri”, dalle forze nuove e non compromesse con il potere. E il ritorno del “qualunquismo” secondo cui la gestione della politica non è un “mestiere” (o una vocazione) impegnativo, che richiede preparazione e studi, ma un esercizio di dilettanti in cui prevale la buona fede e l’improvvisazione. L’Italia è sempre alla ricerca di uomini pubblici “nuovi”;

C’è da credere che passata la moda degli “stellati” il nostro popolo si volgerà alla ricerca di nuovi protagonisti in cui riporre le proprie speranze. È a questa Italia che semplifica i problemi e si affida ai dilettanti che si rivolge l’improbabile offerta dei populisti.

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