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Economia

MERCATO E MORALE

ENRICO BIGLI - 12/02/2016

Come è noto, il governo ha deciso di non salvaguardare azionisti e solo parzialmente possessori di obbligazioni subordinate di alcune piccole banche: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di risparmio della provincia di Chieti. Dietro questa vicenda vi sono ancora aspetti non chiariti, alcuni forse di rilievo penale. Sta di fatto che comunque le quattro banche continueranno ad operare ma nel frattempo i risparmi di una parte consistente dei loro clienti sono andati in fumo.

Di fronte a questo fatto i liberisti hanno esultato, come già accadde quando il governo americano decise di non salvare Lehman Brothers. Come dire, non si impara mai dalla storia. L’argomento dei liberisti può riassumersi in questo modo:

  1. non è giusto che i contribuenti si accollino i debiti delle banche;
  2. chi ha comprato quei titoli doveva sapere che non erano garantiti.

A prima vista pare un’ottima argomentazione, anche se non lo è. Ma facciamo finta che lo sia. Se applichiamo questo principio dobbiamo farlo sempre, ad esempio:

  1. chi ha un mutuo può dichiarare fallimento e dire alla banca che la casa è una “good company” mentre il mutuo è “bad company”;
  2. la Grecia può dichiarare fallimento domani e i creditori devono reagire con un sorriso a denti stretti, e il dottor Schauble deve limitari a dire “Peccato, è andata così”.

 Qui c’è certamente  il problema dell’educazione finanziaria e del moral hazard, ma si affronta principalmente il tema della fiducia del pubblico nel sistema bancario. Se lo stato non salvaguarda neppure i risparmi affidati ad una banca, che è un ente sottoposto alla vigilanza di organismi pubblici, allora qualsiasi attività diventa troppo rischiosa per il risparmiatore comune. Certo il risparmiatore si deve informare ma cosa possiamo chiedere se  spesso neppure le autorità di controllo  conoscono alla perfezione i conti di certe banche. Continuando su questa strada diventerà sempre più difficile trovare qualcuno disposto ad acquistare titoli bancari e anche di imprese diverse dalle banche, ma considerate fino a ieri quasi “sicure” perché, direttamente o meno, sotto l’ombrello dello stato. Se ciò accadesse, una nuova crisi di fiducia, che si aggiungerebbe a quella già in essere, sarebbe inevitabile ed aggraverebbe il già pesantissimo credit crunch che sta strangolando il paese, mentre la gente cercherebbe di detenere solo attività liquide.

Per inseguire una malintesa “morale” del mercato, si dà il colpo finale all’economia questo sarà molto probabilmente il risultato delle nuove regole sul bail-in a livello europeo. Le alternative c’erano, ma richiedevano che la BCE garantisse i debiti degli Stati, cresciuti in questi anni di crisi proprio per salvare le banche.

Sia chiaro, non sostengo che azionisti e obbligazionisti vadano sempre e comunque garantiti al 100%, tutt’altro, ma la sola applicazione pedissequa di  principi della  “morale” di mercato può rivelarsi una scelta peggiore del male che si intende affrontare. Gli atti più disastrosi della storia sono stati compiuti in nome di principi che si ritenevano sacri. Alla fede nei principi, gli economisti e i politici dovrebbero contrapporre invece la valutazione caso per caso delle circostanze, da cui far discendere le soluzioni pratiche, ivi compresa la nazionalizzazione delle banche in crisi.

Si tratta, come evidente, solo di soluzioni di emergenza. Il problema a monte, quello che sta facendo fallire le banche, sono i prestiti deteriorati: famiglie e imprese che non ce la fanno più a rimborsare i debiti a causa della crisi e della disoccupazione. E per risolvere questo problema, la soluzione è una terapia shock a base di investimenti pubblici.

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