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Economia

LA RIFORMA SBAGLIATA DELLE BCC

GIANFRANCO FABI - 19/02/2016

bccIn provincia di Varese ci sono tanti sportelli bancari, ma una sola banca è nata, cresciuta e ha mantenuto la propria sede centrale nel territorio. È la Banca di credito cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate, una delle BCC interessate alla profonda riforma varata con un decreto del tutto discutibile del Governo. La riforma infatti, così come quella delle banche popolari varata all’inizio dell’anno scorso, è ancora una volta basata sulla logica di mettere sotto controllo, e in fondo anche penalizzare, le esperienze mutualistiche e cooperative che invece tanto positivamente hanno caratterizzato la storia economica d’Italia.

Si può ricordare che l’attuale BCC varesina è stata fondata a Busto Garolfo nel 1897 come Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti di S. Margarita. Era infatti espressione diretta del mondo cattolico: in prima linea il parroco don Giovanni Besana con i due coadiutori, Don Angelo Tettamanzi, che ricopriva la funzione di segretario, e Don Pietro Longoni, cassiere. Ma tutto il paese, soprattutto i contadini, i commercianti e gli artigiani erano in prima fila tra i soci del piccolo istituto. Molto più recente è la data di fondazione della Cassa rurale di Buguggiate: il 7 aprile del 1982 grazie ad un comitato promotore guidato dall’allora presidente dell’Artigiancassa varesina Giannino Turri. La fusione tra le BCC di Busto Garolfo e Buguggiate è avvenuta nel 1999 unendo visibilmente i territori del Varesotto e dell’Altomilanese: ora la banca ha 19 sportelli in tutta la provincia, ha requisiti patrimoniali più alti di quelli richiesti, ha in atto iniziative di sostegno all’economia reale, all’industria, all’artigianato, al commercio della realtà varesina.

Non si può dimenticare che le 364 banche di Credito Cooperativo e Casse Rurali, interessate all’ultimo decreto del Governo, costituiscono una realtà importante a livello nazionale soprattutto per i piccoli comuni con 4.403 sportelli (pari al 14,6% degli sportelli bancari italiani), 1.233.803 soci e 37mila dipendenti.

È un settore che ha una lunga storia dato che la prima cassa rurale è stata fondata nel 1883 in provincia di Padova sviluppandosi poi rapidamente soprattutto per iniziativa di persone e gruppi soprattutto all’interno del mondo cattolico. Ma è anche un settore che ha avuto una forte crescita negli ultimi anni dotandosi peraltro di strutture centralizzate per i servizi e di fondi di garanzia a tutela della clientela. Da sottolineare che anche in questo settore vi sono state banche in difficoltà, ma tutte le crisi sono state risolte in maniera autonoma all’interno del sistema.

Il decreto prevede l’obbligo per le BCC di aderire ad un gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni con un patrimonio non inferiore a 1 miliardo di euro. L’adesione sarà la condizione per la conferma, da parte della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di banca di credito cooperativo. La BCC che non intende aderire ad un gruppo bancario, potrà farlo a condizione che abbia riserve di una entità consistente (almeno 200 milioni) e versi un’imposta straordinaria del 20 per cento sulle stesse riserve: non potrà però continuare ad operare come banca di credito cooperativo e dovrà deliberare la sua trasformazione in società per azioni. In alternativa è drasticamente prevista la liquidazione.

In pratica non sarà più possibile l’esistenza di banche cooperative autonome, libere e indipendenti. E la banca che non vorrà aderire con un rigido patto di coesione al gruppo bancario unico dovrà rinunciare completamente alla formula cooperativa oppure chiudere i battenti.

La riforma riprende solo in parte le proposte di autoriforma che le stesse BCC avevano messo a punto nei mesi scorsi su sollecitazione di Governo e Banca d’Italia, anche se molti particolari dovranno essere ancora chiariti. Il punto critico è costituito tuttavia dal fatto che le esperienze cooperative e mutualistiche vengono osteggiate, ostacolate e oltre certe dimensioni addirittura vietate. Per gran parte delle BCC si entra in una nuova epoca di sovranità limitata, sorvegliate e guidate da una holding che dovrà avere la forma della società per azioni e che quindi dovrà confrontarsi con le logiche delle altre grandi banche. Le BCC più grandi potranno restare autonome solo se diventeranno una banca come le altre senza più alcuna formula di carattere cooperativo e mutualistico.

Un’esperienza di oltre cent’anni viene così ricondotta alla ragione del più tradizionale spirito capitalistico nella logica, un pochino perversa, delle grandi dimensioni e della redditività finanziaria. Una logica che ha dato solo esempi negativi negli ultimi anni.

Ma la filosofia della riforma non va solo contro l’efficienza e la razionalità delle banche locali, contro lo spirito mutualistico e la solidarietà. Va contro lo spirito della Costituzione che nel suo articolo 41 garantisce la libertà d’impresa, in particolare delle imprese con finalità sociali, e nel successivo articolo 45 “riconosce la funzione sociale della cooperazione”.

Ma di fronte agli interessi economici e agli illusori richiami della modernità, anche quelle della Costituzione sembrano parole al vento.

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