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Apologie Paradossali

GODIMENTO E CONTESTO

COSTANTE PORTATADINO - 04/03/2016

giustinianoDeviazione e rigore sono concetti contrari. Eppure talvolta si vince con l’una o con l’altro. Basta vincere, (scrivo di mercoledì sera, dopo la partita Inter-Juve, vero direttore?). Ma in politica e nella vita reale la partita non finisce mai e quello che ad alcuni pare deviazione, ad altri sembra rigore o almeno coerenza. Perciò sembra impossibile guardare tutte le novità delle scorse settimane, stepchild adoption in testa, solo come deviazioni o solo come coerenza.

La notizia della paternità (o maternità) dell’onorevole Vendola a mezzo di surrogazione americana non stupisce più di tanto, se non per la difficoltà di collocarla in una di queste opposte categorie. Rivendicato come gesto d’amore dall’interessato, è invece biasimato dagli avversari come supremo egoismo. Vorrei astenermi dal giudizio, almeno per un momento, per notare come comportamenti e valori siano profondamente influenzati da due fattori: il godimento e il contesto.

Uso la parola ‘godimento’ in senso molto generale e moralmente neutro; se avessi usato ‘guadagno’ o ‘interesse’ avrei dato una connotazione polemica o moralistica. Parlo solo della possibilità di ottenere un risultato che soddisfa un bisogno reale o presunto, sempre visto dal lato del soggetto. L’opposto del godimento è espresso dalla parola ‘sacrificio’, nel senso usuale di ‘rinuncia ad un godimento legittimo in vista di un superiore beneficio morale’. Un concetto passato di moda, che ricorre solo in qualche pubblicità di diete, per negarlo, “dimagrire senza sacrifici” o nelle cronache sportive, in veste paradossale. “il centravanti Tale ha giocato una partita di sacrificio” cioè è stato costretto a difendere invece di poter attaccare. Quindi il godimento regna sovrano nel nostro universo morale.

Altrettanto incontestabile è divenuto il ‘contesto’. Un gioco di parole? Anche, ma forse c’è sotto qualcosa di più. Il tempo della contestazione è finito da un pezzo. Che cosa si contestava dal ’68 in poi, cioè che cosa si negava nella sua autorevolezza? Il ‘sistema’, cioè il contesto culturale del tempo, la cultura maggioritaria o preesistente o tradizionale, cristallizzata in costumi e in leggi. Mezzo secolo dopo la situazione sembra rovesciarsi: il contesto culturale non è più un ‘sistema’ se non per alcuni residui anticheggianti, quali religioni, identità culturali, lingue nazionali, culture minoritarie, scrupoli moralistici, tutte cose viste come vincoli alla libera creatività del soggetto, salvo ingabbiarci volontariamente in una rete di prescrizioni burocratiche in difesa del ‘politicamente corretto’ di una nuova morale che non riusciamo a definire se non ricorrendo al termine inglese di compliance (Non oso nemmeno tentare di tradurlo).

Come viviamo questo contesto? Ricorro ad un apologo non mio, inventato dall’autore per spiegare la differenza di mentalità tra i millennials, i giovani che oggi hanno tra i venti e i trent’anni e i più anziani, in merito alla facilità di muoversi nel mondo digitalizzato.

Marco Bardazzi, sul sito dell’Università Cattolica riferisce di “quell’unica volta in cui lo scrittore americano David Foster Wallace salì sul palco di un college per un commencement speech, il tradizionale discorso ai neolaureati che chiude l’esperienza accademica dei ragazzi statunitensi e apre per loro le porte del mondo del lavoro.

Foster Wallace guardò la classe dei laureati del Kenyon College e cominciò il discorso così: «Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: “Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?” I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: “Che cavolo è l’acqua?”».

Vorrei estendere la metafora dal digitale all’intero contesto culturale odierno: non solo per i ventenni, ma anche per i loro padri e le loro madri il contesto culturale è un dato scontato, ovvio, di fronte al quale non ci si pone in posizione critica, se non per reclamare, a causa della sottrazione di un ‘legittimo godimento’, si chiamino ‘tasse’ (da destra) o negazione di ‘libertà’ (da sinistra). Perciò non siamo più in grado di definire con certezza le scelte politiche, da quelle economiche a quelle libertarie, dalle tasse all’utero in affitto. Di destra o di sinistra? Mah! In compenso possiamo dare per scomparso, almeno elettoralmente il centro, la cui esistenza sembra problematica anche da un punto di vista culturale. Manca ‘un centro di gravità permanente’, mi pare dica una canzonetta filosofica e mi sembra da vergognarsi che i cantautori, sia pure dotati di consulente filosofico, insegnino qualcosa agli intellettuali.

Qualche giorno fa Repubblica titolava annunciando nella legge Cirinnà la seconda breccia di Porta Pia. Esagerava, la Chiesa non è sconfitta o vulnerata nella sua missione dall’approvazione di una legge puramente civile, eppure bisogna prendere atto di una piega della storia davvero epocale.

Non per questa legge, ma per l’affermazione progressiva in tutto il mondo ‘occidentale’, (fanno eccezione per diversi motivi l’Africa e il mondo islamico) siamo davvero tornati ad un’età ‘precostantiniana’. Teologi e storici della Chiesa di formazione progressista invocavano da anni la fine dell’età costantiniana della Chiesa, quella caratterizzata, secondo loro, dalla tentazione del potere temporale, della reciproca commistione tra Chiesa e Stato e dall’uso e abuso del potere temporale per fini spirituali e di quello spirituale per fini temporali.

Se fosse così, non potrei che compiacermene.

Temo invece che si vada perdendo il contributo di umanizzazione che il cristianesimo iniziò a portare nella legislazione civile proprio a partire da Costantino per consolidarsi nel sistema giuridico giustinianeo. Nel mondo pagano i cristiani erano stati costretti a muoversi in un ambiente ostile, non solo in occasione delle persecuzioni e ne ebbero ragione progressivamente e non senza errori, in un lungo arco di tempo. Nella metafora, si sono trovati in un’acqua rispetto alla quale non si sono mai sentiti del tutto omogenei, occorreva mantenere una distanza critica. Il rischio divenne poi l’affievolimento della coscienza critica rispetto all’ambiente, tanto più quanto più i cristiani apparivano numericamente maggioritari.

Oggi la condizione culturale appare rovesciata: i cristiani, minoritari, reagiscono istintivamente, spesso irosamente ad un mondo che si presenta ostile, mentre la maggior parte della gente, soprattutto i giovani, come i due pesciolini, assorbe acriticamente la cultura dominante e si conforma tranquillamente alla ‘natura’ dell’acqua in cui nuota.

Per tornare alla scelta di Vendola, non la posso chiamare né deviazione, né rigore o coerenza, ma solo conformismo, sia pure ‘progressista’.

Dobbiamo dunque diventare reazionari? Assolutamente no. Faremmo il gioco di chi tira le fila della cultura dominante, cui daremmo un facile bersaglio. Occorre diventare critici, chiedersi ogni giorno “com’è l’acqua?”, senza doversi schierare a priori per le deviazioni o per il rigore. Occorrono maestri di vita e compagni di viaggio che ci guidino e che ci aiutino. La funzione dell’autorità, religiosa e civile, non è finita, anzi è più che mai necessaria, ma, attraverso la funzione pedagogica delle leggi e dei costumi, deve arrivare a formare le coscienze.

Fuori dagli stadi, caro direttore, non basta vincere, è più importante giocare la partita giusta e giocarla bene.

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