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Opinioni

QUESTA DEMOCRAZIA MALATA

GIAMPAOLO MARTINELLI - 24/06/2016

tricoloreSono persuaso che, per essere credibili e comprensibili nel commento politico, sia utile dichiarare la propria “appartenenza”. In questo modo l’interlocutore può fare la “tara” a quanto sente dire e può, se è altrettanto onesto, cercare di comprendere le ragioni dell’altro tentando di porsi dal suo punto di vista.

Quanto a me voglio dichiarare che, in quasi cinquant’anni di votazioni, ho vinto le elezioni solo un paio di volte con Prodi, tre se consideriamo anche l’ultima drammatica vittoria di misura con Bersani. Nelle tre occasioni sono stato derubato dai compagni della coalizione o del partito che, in nome di chissà quali problemi di pancia e di coscienza, hanno buttato all’aria progetti politici importanti per il nostro Paese. Dimostrando come il “meglio” sia spesso nemico del “bene”. E mai come in questa accezione il “meglio” è stato la chimera da inseguire, sempre diversa e fantastica, per giustificare un disimpegno indifendibile verso il “bene” possibile di chi governa.

È per questo che, nonostante possa iscrivermi con tante buone ragioni al partito di quelli che non amano Renzi, sono convinto che il primo ministro abbia il diritto e il dovere, sacrosanti e costituzionali, di governare la nostra povera patria (per meglio comprendere lo strazio suggerisco di riascoltare la canzone attualissima, anche se ormai ventennale, di Franco Battiato).

Ma è proprio qui che ogni giorno la grave malattia della nostra democrazia erutta con i suoi bubboni e le sue febbri.

Cerco continuamente smentite ai motivi del mio pessimismo. Ascolto più telegiornali, soprattutto quelli della Rai– m’illudo ancora sull’importanza del servizio pubblico -, per comprendere cosa bolla in pentola e a quale punto sia la cottura della nostra società. Trovo molta cronaca e gossip su politici e politica nazionali e poca internazionale. Molto dibattito e poco approfondimento. Forse perché è difficile, impossibile, fare approfondimento indipendente. Ecco perché riaffermo l’importanza di dichiarare da quale “parte” si osservano i fenomeni da approfondire. Incontro ogni giorno nuove notizie sulla grave crisi sociale ed economica che afferra il paese. Sono pochi i commenti che, indagando su persone e situazioni con occhio lucido, competente e compassionevole, suscitano proposte, progetti, alternative condivisibili e quindi condivise.

L’idea che il bene comune sia un patrimonio da perseguire insieme e nel merito, fatica a sopravvivere entro i recinti di un partito, o anche di un movimento. Ho già ricordato ad esempio come Prodi e Bersani siano stati messi alla porta dagli stessi compagni di partito e di coalizione. Figuriamoci allora se i nostri politici, figli diretti di un popolo abituato da un secolo e mezzo a difendersi dalle istituzioni, siano propensi a condividere e a sostenere un’idea, pur buona, ma nata fuori dal proprio recinto.

Ci sono stati in Italia, è vero, degli statisti, degli uomini delle istituzioni in grado di volare alto, di allargare la vista per interpretare la realtà con uno sguardo diverso, che tenga conto di bisogni e di interessi differenti. Abbiamo avuto i De Gasperi, i Moro, i La Pira, i Prodi, forse anche Berlinguer e pochi altri ma, ahimè, come tanti profeti, non tutti sono stati sempre ben accolti.

Sarebbe impietoso accostare oggi Renzi a simili personaggi, forse la storia ce ne darà un ritratto più lucido e realista, ma una cosa mi sento di affermare sul guelfo fiorentino (lo definisco cosi perché, avendo frequentato sovente negli anni addietro la capitale toscana, istintivamente mi vien facile accostare il fiorentino al saccente che sloggia il divin Poeta Ghibellin fuggiasco). Penso che, pur con tutta la sua strafottenza, supponenza e, concediamolo, antipatia, abbia il pregio di tentare nuove strade e di mostrare una visione di più ampio respiro. Forse non è ancora una concezione politica rivoluzionaria, ma sicuramente c’è la voglia di cambiare, di sbloccare una società e una politica che non riescono da vent’anni a dare risposte adeguate alla situazione italiana.

Q. “Commette errori?”

GP  “Si”

Q. “Si potrebbe fare “meglio? ”

GP “Sì”.

Ecco dove si annida il morbo della nostra democrazia. Nella presunzione che io avrei fatto meglio e perciò stesso ho il diritto di buttare a monte tutta la partita, rinunciando anche al bene che sarebbe stato lì a portata di mano.

È la boria di chi sta all’opposizione e che, per un male inteso diritto di voto che si vorrebbe diritto di veto, fa della demolizione dell’avversario il suo progetto politico immediato e unificante.

Tutte le energie delle opposizioni di turno sono utilizzate per screditare e per confutare ogni atto politico e amministrativo della maggioranza, così, per partito preso, senza entrare nel merito dei provvedimenti. Anzi, usandoli a brandelli per colpire l’avversario e per intontire il proprio elettore, che viene sobillato ad arte per gridare al ladro e all’inciucio.

Chi usa questi metodi evidentemente punta a un elettorato che non ama capire, poiché per protestare non serve usare troppa materia grigia. Un elettorato di bassa lega (mi scuso per la cacofonia non premeditata!) o meglio: di bocca buona. E mi spiego.

Pongo ad esempio la domanda (retorica?) su quanti abbiano letto il testo della legge di riforma costituzionale. Quella, tanto per intenderci, che abolisce le provincie e riduce i senatori e ridefinisce i compiti del Senato. Mi permetto di immaginare le risposte. Detto per inciso, chiunque la può leggere, il testo è abbastanza comprensivo e ci si può fare un’opinione autonomamente.

Concediamo pure che Renzi abbia compiuto l’errore politico di forzare le sorti della legislatura legandole all’esito del referendum costituzionale sulla riforma in questione, offrendo quindi il fianco alle opposizioni per ogni speculazione. Concediamogli però anche la volontà sincera, pur migliorabile, di voler sbloccare il processo politico e decisionale, che è facilmente paralizzabile con l’attuale ordinamento.

Non ho sentito tuttavia dalle opposizioni, comprendendo in queste anche gran parte dei media che le sostengono, alcun commento serio, pacato, nel merito e che non fosse finalizzato a concludere sulla necessità di “mandare a casa Renzi”.

Q. “Perché?”

Mi sono risposto (senza retorica) “Perché la nostra è una democrazia malata”. Oserei dire “gravemente malata”, perché una metà del paese si impegna a costruire e l’altra metà si impegna a demolire il Paese pur di demolire l’avversario. E la Democrazia non si ammala a causa dei politici. Vi arriva già malata direttamente dal popolo che li ha eletti. Non si spiega infatti perché in Italia vi siano quasi 250.000 avvocati, conto i 50.000 della Francia e i 160.000 della Germania che pure ha il 50% in più di popolazione. Perché noi razza italica, infastiditi nel vedere l’erba del vicino sempre più verde, non siamo abituati a complimentarci con lui, o almeno a farcene una ragione, e le proviamo tutte per rovinare anche il suo prato: se non lo posso avere io è meglio che non ce l’abbia nessuno.

Anche la tanto auspicata alternanza del bipolarismo non ha risolto la malattia. Mi vien da dire amaramente: “Era meglio il consociativismo della prima Repubblica”. Perché, depurato del malaffare che rendeva tutti complici in una spartizione di risorse pubbliche che si credeva (ahimè) senza pari, rimandava concettualmente a prendersi a cuore il “bene comune” tutti insieme.

Q. “Bello predicare, ma come se ne esce?”

GP. “ Se ne esce uscendone!”

Q. “Ci prendi in giro?”

GP. “ Se è vero che si impara a camminare camminando, possiamo anche provare a cambiare rotta cambiando rotta. Come disse (credo) Einstein: Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno che non lo sa e la fa”.

Da cittadini inoltre dobbiamo auspicare che i politici di qualsiasi opposizione, dopo aver fatto tutto il loro dovere e tutto il possibile per migliorare una legge della maggioranza, affermino con orgoglio: “È la miglior legge possibile”. La politica infatti è servizio e mediazione intelligente tra bisogni e aspirazioni diverse, a volte opposte, e non lotta tra fazioni per il predominio del territorio.

Per fare questo bastava la legge della giungla.

PS. Ringrazio Costante Portatadino per avermi suggerito l’idea dell’interlocutore interno che ho chiamato: Q (Qualcuno) contrapposto a GP (Giampaolo).

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