Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Opinioni

UN MONDO CAPOVOLTO

GIAMPAOLO MARTINELLI - 16/09/2016

macugnaga

Macugnaga

Ho trascorso durante l’estate qualche giorno in montagna assieme a degli amici con i loro figli. Una bella brigata di quattordici persone con cui abbiamo passato una bella settimana di amicizia e di condivisione.

Macugnaga è da sempre una “colonia” varesina e ogni volta per me è un tuffo nel passato. La prima volta vi andai nel 1965 e quando ci ritorno respiro sempre profondamente per sentire fin dentro i polmoni quell’aria fresca che sa di prime e antiche esperienze di montagna, ma anche di casa e di amicizie.

Per la gioia e la meraviglia dei pargoli dei miei amici, con cui condividiamo l’affitto per la settimana in una bella casetta a pochi metri dalla piazza di Staffa, porto sempre con me un pugnale di acciaio, sulla cui lama lucente è incisa una scena di caccia con la tigre che afferra un cervo. Sono sempre contento di sfoderare, su richiesta dei miei piccoli ammiratori, quest’attrezzo, che uso per intagliare dei legnetti. Di solito mi chiedono di scolpire oggettini e soprattutto coltellini di legno, con cui poi si cimentano essi stessi, senza pericolo, nel tentativo di tagliare altri rametti. Quando a Pecetto passiamo davanti al negozio di abbigliamento e di articoli da montagna, non manco di ricordare loro che acquistai il mio prezioso pugnale proprio lì dentro, quasi cinquant’anni prima. Agli amici adulti confido anche che, assieme al pugnale, acquistai una campanella in forma di quelle che i montanari appendono al collo delle mucche quando le lasciano libere al pascolo. Avrei voluto portarla a una ragazza che mi piaceva. Le battute pesanti degli amici di allora – sui malintesi che avrebbe provocato una campana da mucca donata a una ragazza – mi lasciarono così costernato che decisi di tenerla per me ed è tuttora appesa a un chiodo sul terrazzino di casa mia.

Negli anni sessanta una corriera prestava servizio quotidiano da Varese per Macugnaga. Non so se esista ancora oggi, ora si va tutti in macchina e non si pensa all’autobus. Portammo in campeggio a Macugnaga anche alcuni ragazzi di dieci anni dell’oratorio, assieme a tutto l’occorrente per una settimana: tende, sacchi a pelo, viveri, fornelli, eccetera. Ovviamente si viaggiò in corriera e nessuno si chiese se esistesse un mezzo più comodo per trasportare tutto il materiale.

Allora, come oggi, una seggiovia porta in pochi minuti fino all’alpe Burki e poi, con il secondo tronco, fino al Belvedere. Da lì si può attraversare il ghiacciaio – ma se ne possono calpestare solo i sassoni che ricoprono il sottile strato rimasto – e proseguire, in meno di un’ora di cammino, fino al Rifugio Zamboni. Per i più avventurosi, in quattro ore si sale fino a tremila metri alla Capanna Marinelli, nel cuore della parete Est del Monte Rosa.

Allora andavamo a piedi, sia ai Burki, sia al Belvedere. Non solo per desiderio di impegno atletico, ma perché le poche centinaia di lire, necessarie per acquistare il balzo in seggiovia a spasso sopra i pini e i ghiaioni, erano preziose e rimanevano ben custodite nelle nostre tasche. Ancora in questi anni recenti, nel giorno della ormai classica gita con tutto il gruppo allo Zamboni, memore di quegli anni così tirati e pur bellissimi, cerco di rimanere fedele all’impegno che ho preso con me stesso – per quanto possibile e fino a quando il Buon Dio me lo concederà – di non approfittare dei mezzi meccanici per superare la montagna. Gli amici e i loro piccoli mi salutano festosi e ammirati dalla seggiovia e arriviamo a destinazione con pochi minuti di differenza.

Oggi ai Burki c’è un ottimo ristorante che serve piatti tipici con qualità e servizi pari a quelli di città. Un tempo era solo una malga con la stalla e una stanza fumosa. Sul fuoco si cuoceva la polenta dentro un enorme paiolo di rame. Ci si poteva saziare solo con polenta e latte o formaggio ed erano prelibatezze. Si prendeva la propria ciotola seduti su una panca di legno e il latte, che proveniva direttamente dalla stalla, era grasso e cremoso. Con i regolamenti sanitari odierni non è più possibile, ed è giusto così. Quando vi siamo stati l’ultima volta, abbiamo chiesto una brocca d’acqua da bere durante il pasto. Ci hanno risposto che non si può servire acqua a tavola perché non proviene dall’acquedotto. Chi non ha voluto sorseggiare la pinta di birra fresca o il bicchiere di vino, ha dovuto acquistare l’acqua in bottiglia portata su dalla città con i camion. Sì, proprio così, lì dove ci sono fonti e sorgenti a ogni angolo!

A Macugnaga, nel piazzale sotto il parco attrezzato per i bambini, il venerdì c’è il mercato. È un’occasione che ci dà la possibilità di bighellonare, senza sudare come sui sentieri, e di lasciare i ragazzi liberi di giocare, scorazzare e curiosare. Vi si possono acquistare formaggi e salumi tipici della Valle Anzasca. Quest’anno dovevamo comprare solo qualche frutto e ortaggio, che di solito prendiamo al piccolo market in paese. La bancarella della frutta e verdura, gestita da un omone calabrese e dalla sua compagna forse di origine spagnola, esponeva dei coloriti e invitanti pomodori “cuore di bue” a 4,90 euro il chilo. Ho pensato che a quel prezzo fossero eccellenti prodotti locali e sicuramente gustosi. Osservando la cassetta notai però che il prodotto veniva dal Belgio! Escluso quindi che fossero gustosi, lasciai perdere. Guardai poi le scatolette trasparenti e invitanti ricolme di mirtilli – non ricordo il prezzo ma erano “beni preziosi” – e pensavo che fossero di provenienza locale della Valle Anzasca, anche se erano della specie americana, quella con i frutti più grossi, non piccolini come quelli che crescono nei boschi.

L’etichetta riportava che erano originari della Romania.

Il mio disappunto è esploso ad alta voce contro quell’improvvido spacciatore di frutti provenienti da così lontano. Non solo per il consumo di CO2 che hanno causato con il loro trasporto fino ai piedi del Monte Rosa, ma anche per due altri motivi altrettanto concreti.

Il primo perché gli stessi frutti e ortaggi si possono coltivare localmente – o almeno nel raggio di trenta chilometri – e con risultati senza dubbio migliori.

Il secondo motivo è che tutto l’imbroglio è dettato meramente e unicamente dal desiderio di speculare sul prezzo: “Comprare a prezzi ridotti alla metà e vendere al doppio ai turisti ignoranti”. La Romania ha infatti costi d produzione e raccolta ben inferiori ai nostri e le coltivazioni industriali nelle serre di Belgio e Olanda forniscono frutta e ortaggi altrettanto economici ma di scarsa qualità.

Gli amici e mia moglie, pur condividendo le mie rimostranze, sono rimasti un poco imbarazzati, ma anche sconcertati circa le difficoltà che incontra il consumatore comune – quello che, colpevolmente, non si pone troppe domande quando fa la spesa – costantemente ricattato e impedito a orientarsi per poter effettivamente scegliere.

A volte sembra che non si possa fare diversamente e sia difficile sottrarsi a logiche di mercato che sfuggono al nostro controllo.

Ma è un diritto e un dovere farlo.

Se è vero che i capelli bianchi non te li regalano, abituiamoci almeno a vendere caro ogni capello. Altrimenti avranno sempre ragione gli speculatori, ancorché travestiti da commercianti sorridenti e gigioni, perché, se ci abituiamo a digerire tutte le robacce che ci somministrano, perderemo anche la capacità di comprendere la differenza tra il buono e il cattivo, tra il bello e il brutto, tra l’onesto e il disonesto, tra il giusto e l’ingiusto e, concedetemelo, tra il sacro e il profano.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login