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Politica

L’IMPOSSIBILE CHE SI FA REALTÀ

DANIELE ZANZI - 14/07/2016

Daniele Zanzi con il sindaco Galimberti

Daniele Zanzi con il sindaco Galimberti

Guardavo e osservavo da vicino, dal tavolo della Giunta, Davide Galimberti sabato scorso durante il suo giuramento; un momento tanto atteso; un momento commovente, almeno per me, carico di significato, il momento finale di un lungo percorso e nel contempo anche iniziale di un nuovo cammino, denso di aspettative e di impegni gravosi futuri. Ascoltavo la sua voce ferma, decisa ed emozionata nel contempo, il suo riferirsi alla nostra Costituzione e poi candidamente ai bambini che ci osservavano e che ci avrebbero giudicato.

Osservavo anche, dalla visuale privilegiata che il banco frontale permette, tutti i dettagli dell’affollata platea, anch’essa assorta ed emozionata; osservavo di fronte a me mia moglie nell’inedita veste di consigliera comunale, a fianco all’amico Valerio, sui banchi della maggioranza; osservavo la marea di cittadini, di amici e “nemici”, autorità, giornalisti, lì tutti in piedi e in silenzio composti a vivere la solennità del momento; osservavo anche gli unici quattro consiglieri comunali che invece avevano deciso di starsene seduti a trafficare nervosamente con il telefonino con lo sguardo basso, masticando chewingum, rabbia e delusione per aver ceduto il posto ad altri.

Peggio per loro, non fanno certo bella figura”, dicevo tra me e me. E di sicuro trovavo in questi atteggiamenti irriguardosi un’ ulteriore conferma che le lotte di questi anni, mettendoci la faccia, erano state cose belle, giuste …quasi doverose.

In fondo uno dei motivi per cui stavo seduto lì era perché avevo provato sulla mia pelle, e con me moltissimi altri varesini, quello stesso atteggiamento di supponenza e di non ascolto da chi invece avrebbe dovuto esercitare esattamente le doti contrarie.

Nei pochi attimi del giuramento la mente mi si è affollata di ricordi, di emozioni e degli impegni futuri che mi avrebbero aspettato.

Ricordi tanti. Villa Augusta e il mio striscione “Giò i man” esposto con rabbia e determinazione in quello stesso salone quattro anni prima come gesto di esasperazione e di monito ad un Consiglio che non voleva ascoltare; la conseguente epurazione dalla Commissione del Paesaggio e tutte le oltre 2000 pratiche studiate ed analizzate, in tanti mercoledì gratuiti, nell’interesse dei cittadini; i sei amici che si ritrovano al bar La Cupola nel marzo 2014 e decidono che bisognava fare qualcosa per Varese, partecipare, e fondano il Comitato Varese2.0 che diverrà poi movimento e contribuirà a cambiare Varese, rendendo possibile l’inimmaginabile, ovverosia quello di riuscire a mandare in minoranza quella che era stata maggioranza per 23 anni e che considerava Varese come la sua culla e il suo feudo inattaccabile; i banchetti per raccogliere le firme, le proteste, le marce e gli striscioni contro l’inutile parcheggio; i cipressi ancora là in piedi in fondo al parco e il masterplan sbagliato di Piazza Repubblica (che rivedremo nella sua totalità), l’autosilo a Villa Mylius, le tante serate a discutere, a programmare, a confrontarci sulle alleanze e le strategie; i tanti amici trovati lungo il cammino, ma anche quelli che ti girano improvvisamente le spalle perché non sei “politicamente corretto”; gli alleati di una coalizione, dapprima guardati con sospetto e diffidenza e poi, mano a mano che le carte si scoprivano, apprezzati e stimati.

Emozioni: tante, tantissime, forse troppe per la mia età e il mio cuore!

L’emozione di vedere la gente che partecipa, l’emozione di metterti in gioco alle primarie, l’emozione di vedere e percepire il supporto crescente e la condivisione da parte della tua famiglia, l’emozione di stringere le mani e parlare con i tuoi concittadini, l’emozione e la gioia di una vittoria difficile, ma non impossibile da ottenere sapendo poi che hai contribuito in modo determinate al risultato. L’emozione provata alla prima seduta di giunta quando sulla delibera di revoca del parcheggio alla Prima Cappella c’è stata anche la mia firma e idealmente anche quella dei seimila varesini che misero due anni prima anche la loro.

L’emozione di aver trovato, nello spazio di pochi mesi, amici veri che resteranno, al di là delle difficoltà che verranno.

Impegni. Ora ci siamo insediati, al lavoro. Ma da che parte iniziare? In fondo su quel banco di giunta mi sembrava di assistere all’appello iniziale di un nuovo ciclo scolastico dove tutto è eccitante, ma anche carico di incognite e di ansie: materie nuove, compagni nuovi, incognite sul futuro. Ce la farò o non ce la farò?; riuscirò a conciliare il nuovo gravoso impegno con il lavoro, con la famiglia, con tutto quello che fino ad allora ho fatto e dovrò fare?

Di certo la determinazione non mi manca, le visioni neppure, l’amore disinteressato per la mia città men che meno e i primi passi sono stati tutti in una direzione, confortante per noi: Davide Galimberti ha dato prova di voler cambiare; il suo esordio è stato uno strappo al modo e al fare cui i varesini erano abituati.

Porte aperte a Palazzo, niente auto blu, dialogo continuo anche con le minoranze, una giunta – il 3-3-3 ( tre politici – tre civici – tre tecnici ) formata in tempi record senza bilancini o spartizioni, anzi dando prova di autonomia dal partito che lo aveva sostenuto ed appoggiato. Cose mai viste e che qualche interessata polemica tentava poi di oscurare.

Il partito più votato a Varese – il PD – che amministra con i movimenti civici, con i suoi uomini messi nei posti di massima responsabilità. Il movimento Varese2.0 riconosciuto come parte determinante della vittoria di un gruppo politico tradizionale che mai avrebbe raggiunto da solo lo scopo. Una sinergia non tanto in termini di percentuali e di voti, ma anche per il nuovo modo di proporsi e di affrontare la vita amministrativa rompendo schemi consolidati. Qualcuno ha scritto che siamo di fronte al “modello Varese”, un esempio di amministrazione condivisa da esportare ed imitare. Un modello che potrebbe costituire un rimedio, forse l’ultimo, alla disaffezione per la politica e la partecipazione; meglio sarebbe dire ad un certo modo di far politica, quello delle spartizioni, delle raccomandazioni e delle appartenenze; un modello marcio, ma talmente consolidato da essere assunto a consuetudine ed abitudine. Tanto da giungere a guardare con diffidenza chi invece vuole partecipare: “Chi glielo fa fare? Cosa ci sarà dietro ? La poltrona. Tanto sono tutti uguali”.

Luoghi comuni, ma radicati nei cittadini a causa dei pessimi esempi cui gli italiani sono stati abituati. Ecco il mio, il nostro impegno, debitamente sottolineato dal sindaco nel suo emozionato discorso inaugurale, sarà quello di far tornare le persone a guardare con fiducia alla amministrazione della cosa pubblica, a partecipare nuovamente perché si avrà la certezza dell’ascolto e dell’essere presi in considerazione.

Non sarà facile, sicuramente commetteremo errori, ci scontreremo con usi e costumi consolidati difficili da cambiare. Ci proviamo, ci mettiamo in gioco e ascolteremo. Rispondendo, però!

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