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Cultura

RIMINI E FELLINI

MANIGLIO BOTTI - 16/09/2016

Il Rex di Amarcord

Il Rex di Amarcord

“Io a Rimini non ci torno volentieri. È una sorta di blocco…”. O di pudore o della sensazione di non ritrovare più nulla oppure poco di ciò che egli conservava nel cuore e nei ricordi. Chissà. Così diceva Federico Fellini, che pure a Rimini – spesso – negli anni Sessanta ci ritornava in incognito. Partiva dalla capitale la sera con la Jaguar guidata dall’autista e, verso mezzanotte o l’una, era sotto la casa del suo migliore e più fraterno amico, l’avvocato Titta Benzi, in via Roma, quasi nel centro della città. Gli tirava dei sassetti contro i vetri delle finestre: Dai Titta, vieni giù! Suo malgrado l’avvocato, che era solito coricarsi molto presto la sera, verso le nove, si infilava veloce un paio di pantaloni, e un soprabito, se l’invito come talvolta accadeva era fatto in una sera d’autunno e d’inverno. Poi i due cominciavano a bighellonare nelle strade vuote, come quando erano ragazzi. A parlare di donne, di amici e a tirare calci ai barattoli e alle lattine vuote, due adolescenti “vitelloni”.

È risaputo che Federico Fellini non ha mai girato in tutta la vita mezzo metro di pellicola nella sua città natale. Dai Vitelloni a Amarcord, passando per 8 ½, i Clown, Roma… Anche il mare di Amarcord – come l’intero centro del borgo – fu interamente ricostruito negli studi di Cinecittà; il mare al passaggio del transatlantico Rex – appunto – venne creato con teloni di plastica neri fatti ondeggiare da una macchina…

Ciononostante Rimini ha ricordato come meglio non si potrebbe il suo figlio prediletto, il grande artista contemporaneo, il più grande regista italiano del Novecento. Come prima cosa la città  gli ha dedicato una piazza importante, che quasi si affaccia sul mare, in fondo al viale Principe Amedeo. Le pareti esterne di alcune casa del borgo di San Giuliano sono state “affrescate” con scene tratte dai più famosi film di Fellini, e vi accompagnano i turisti giapponesi ad ammirare i dipinti. Anche il bar-pizzeria da Lino, appena fuori dalla stazione, il bar dove – fino a tutti gli anni Sessanta e anche parte dei Settanta si poteva mangiare una “margherita” alle quattro del mattino – adesso si chiama Bar Fellini e all’interno campeggia una gigantografia della Saraghina, la truce, generosa, popolare cocotte da spiaggia del film 8 ½. Il Fulgor, il “cinemino” del Corso dove Fellini cominciò a esporre i suoi primi disegni caricaturali, citato anche nel film Amarcord, diventerà a breve una specie di cinema-mausoleo, sempre dedicato all’ “eroe locale”.

Per chi la sa leggere, tuttavia, l’intera città di Rimini – sebbene il regista l’avesse lasciata nel gennaio del ’39, probabilmente senza nemmeno fare gli esami di maturità classica – ha in sé ancora oggi tracce felliniane e le straordinarie immagini rese celebri dal regista: il famoso Grand Hotel (meglio ammirarlo in un giorno d’inverno, quand’è pressoché deserto); la piazza Giulio Cesare (oggi piazza Tre Martiri) dove si affaccia l’omonimo liceo-ginnasio (ma quando Fellini lo frequentò la scuola si trovava in via Gambalunga), la piazza centrale – piazza Cavour – nel cui mezzo c’è la “fontana della pigna” e, accanto, la statua di papa Paolo V; l’intero corso: dall’Arco di Augusto al Ponte di Tiberio, in pratica l’inizio della via Emilia, su cui un tempo sfrecciavano i bolidi della Mille Miglia.

Ma Fellini, infine, tornò nella sua Rimini. Vi tornò nell’estate del ’93, qualche mese prima della sua morte, per trascorrere una convalescenza a seguito di un intervento. Accudito e amato.  In un bel libretto “Guida alla Rimini di Fellini”, edito da Panozzo, curato dal giornalista Giuliano Ghirardelli, si ricorda quanto il regista scrisse dall’ospedale al sindaco della città: “…Sono contento di essere nato da queste parti e voglio augurare ai miei compaesani di saper mantenere, nonostante i tempi bui, questo slancio generoso verso i valori dell’amicizia e della vita…”.

 Proprio all’ingresso del cimitero di Rimini il grande Federico riposa. Con lui la moglie Giulietta Masina e il loro figlioletto Pierfederico, morto infante. Sulla tomba lo scultore Arnaldo Pomodoro ha realizzato la prora di una nave. Che va, che continua a navigare.

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