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Opinioni

QUALCOSA DA EVITARE

FELICE MAGNANI - 07/10/2016

parlamentoE via, ripartiamo sempre dal caos per cercare di dare un senso compiuto alle cose che facciamo, a quelle che abbiamo fatto e a quelle che vorremmo fare. Parlare di senso compiuto in un paese dove il senso si è perso per strada non è cosa facile e ancora più difficile è fare capire al cittadino cosciente come mai quasi mille tra deputati e senatori rimettano il loro senso di responsabilità, ribaltandolo su una popolazione assolutamente disorientata e stanca.

Il referendum si poteva evitare? Sicuramente sì, se il parlamento avesse risolto il problema del sovrannumero dimezzando i parlamentari, riammettendoli al loro lavoro primigenio. Si è perso di vista che la politica non è una professione sine die, ma una possibilità a tempo limitato. A tutto c’è un termine, soprattutto quando ci sono di mezzo i soldi dei cittadini elettori oberati da una crisi radicale e profonda, che mette a dura prova la coscienza critica di chi si alza tutte le mattine per andare al lavoro, con l’ansia di vedersi licenziato o mandato a spasso per ragioni di delocalizzazione, di europeizzazione, di mancanza di crediti, di sovrannumero o di fughe di capitale.

Credo che la politica dovrebbe fare un bagno di umiltà, rimettersi a un tavolo e rivedere la propria compatibilità con un sistema che è profondamente cambiato e che nella maggior parte dei casi non è più in grado di bastare a se stesso, ricreando le basi di un sistema produttivo che sia credibile su larga scala.

Dopo anni di licenziosità giuridica, di arbitrarietà economica, di fai da te, di arroganza e di prevaricazioni salariali, ci troviamo a confrontarci con una classe politica che non si accorge o fa finta di non accorgersi che l’esempio lo deve dare prima di tutto chi è al timone della barca. Quando le cose non vanno bene il cittadino dapprima prova sgomento e disorientamento, poi chiede aiuto a chi lo governa, sapendo che lo fa grazie a lui che lo ha votato, garantendogli la fiducia.

Mi chiedo come si faccia a sovraccaricare di responsabilità una popolazione che ha già ampiamente dimostrato di avere la pazienza di Giobbe. Chi urla le proprie vendette referendarie, chi si vanta di essere paladino di riforme costituzionali, chi se la cava con un si, con un no o con un ni, chi gonfia le situazioni giocando sulle strategie della comunicazione, forse non sa che sarebbe stato molto più democratico e risolutivo che il parlamento affrontasse unitariamente il problema di una restrizione di personale interno, gestendo il passaggio secondo un piano di democratico confronto di idee, progetti, strategie, impegni e ideali. Non si può onestamente immaginare che un tema così delicato venga scaricato sui cittadini.

È un po’ la storia di sempre, ci siamo abituati a scaricare su altri le nostre responsabilità, sperando che le risolvano, dimenticandoci però che la forza di un paese è nella sua collegialità, nella capacità di essere convergente soprattutto quando i problemi sono di natura strutturale e quindi fondamentali per la sua ripartenza. Preciso che anche su un piano prettamente pedagogico e quindi educativo gli obiettivi si raggiungono passando attraverso un lungo e faticoso cammino di ricerca e di confronto, di studio e di dialettica interna, prima di arrivare alla presentazione pubblica.

In un caso come questo il popolo può veramente diventare arbitro? Siamo sicuri che un tema così complesso possa essere demandato a chi, con rispetto parlando, non può avere un quadro giuridicamente preciso della situazione? È troppo tardi per ritrovare uno spirito diverso? Siamo sicuri che non sia ricomponibile una diatriba che rischia di diventare una corsa al massacro?

Malgrado tutto la guerra s’è iniziata. C’è chi afferma che si tratti di una resa dei conti contro un premier diventato troppo decisionista, di una ripresa d’arma di vecchie ideologie messe troppo repentinamente da parte. C’è chi sostiene che se ne sia parlato poco e male, che non tutti siano stati chiamati a consumare democraticamente il proprio ruolo e la propria parte.

In certi momenti sembra di capire che il problema sia più di natura diplomatica, in altri si respira il clima di una resa dei conti, il ritorno a un antagonismo che sembrava superato per sempre. La natura di due modi diversi di fare politica esce allo scoperto a distanza di tempo: da una parte quella più di carattere conservativo che si ritiene provvidenziale ed ecumenica, sembra di essere tornati alla peggiore politica, quella della incomunicabilità strutturale.

Dunque il referendum si poteva o forse si doveva evitare, rimettendo al centro la forza democratica del parlamento. E poi una riforma era necessaria, semplificandola, con il consenso di tutti. Sarebbe bastato dimezzare i senatori e i deputati, lasciando ai cittadini il mandato elettorale. Sarebbe bastato, ma forse non basta convincere chi è stato eletto a operare nel pieno rispetto di ha voluto fortemente questa democrazia, mettendo a repentaglio anche la propria vita.

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