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Cultura

IN SINTONIA CON IL PAPA

LIVIO GHIRINGHELLI - 25/11/2016

bauman

Zygmunt Bauman

In una recente intervista il famoso sociologo polacco Zygmunt Bauman, analizzando le caratteristiche e gli orientamenti della società liquida in cui viviamo (l’aggettivo lo ha reso famoso nell’ambito degli studi) si è dichiarato concorde con l’impostazione di pensiero e d’azione che qualifica l’attuale pontefice papa Bergoglio.

Non si tratta più ormai, per fortuna, di un conflitto mondiale che dilani il mondo come esito del capitalismo maturo, bensì di una guerra a pezzi, in cui comunque vige la constatazione di Hobbes, di un bellum omnium contra omnes, in troppi casi, se non in tutti, di una guerra per procura. Si è creato ormai un clima di reciproca diffidenza, ostilità, rivalità,, divisione, anziché cooperazione e integrazione, invidia anziché partecipazione. Il mondo è saturo di ingiustizia, in calo sono tutti gli standard esistenziali, i posti di lavoro troppo flessibili, insicuri, inaffidabili; la protezione sociale risulta inadeguata. Come fenomeni particolarmente allarmanti si presentano l’immigrazione e il terrorismo. L’Europa non risponde più ai principi e alla vocazione che l’hanno fondata, manifestando un diffuso senso di insicurezza.

Giustamente papa Francesco denuncia però che il migrante non è il pericolo, bensì in pericolo. La tecnologia, internet, i social, anziché includere, provocano la divisione. E il cristianesimo si qualifica come religione utilitaristica, secondo la sua variante borghese dà una falsa concezione della pace, mentre pare evidente che questa non consiste nello stare comodamente in pace, egoisticamente.

Non vale per noi il concetto di Gv 14,27: vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, che per Cristo non è quella che dà il mondo nell’insensibilità generale e nella chiusura in se stessi. Onde il paradosso che l’allegria creativa si perverta in felicità conformistica.

Bauman, polacco di famiglia ebraica, sociologo e filosofo, nato nel 1925, si è caratterizzato nelle riflessioni sul mondo contemporaneo per avervi colto un processo di “liquefazione” delle sue strutture (Il disagio della postmodernità, 2000; Modernità liquida, 2000) secondo un modello di omologazione ed erosione di ogni sicurezza sociale, che vede nel ciclo economico la trasformazione da produttori a consumatori, favorendo un individualismo edonistico, cui è correlata l’incertezza.

Il fenomeno largamente accampato della globalizzazione annulla il legame di appartenenza alle comunità locali. La società proiettata su scala mondiale vede esasperarsi localismi e divisioni, condizioni e livelli di vita estremamente diversi. Predominano le figure del turista, nella febbrile ricerca di sensazioni e piaceri e del vagabondo, che segnala la mancanza di radici e di stabilità; il secondo in uno stato di sospensione osserva gli altri vivere.

Nella società moderna in un primo processo di “liquefazione” era il tempo a essere sottoposto a una razionalizzazione, che si rifletteva nella rigida organizzazione del lavoro; la risoluzione del conflitto tra libertà e sicurezza personale giocava a favore di quest’ultima; si affermava la logica del dominio ed esclusione del diverso, dello straniero (v. lo sterminio d massa del popolo ebraico (Modernità ed olocausto, 1989).

Oggi invece in tempi di globalizzazione e di caduta culturale delle metanarrazioni le regole del gioco sono fissate da finanza e informazione, il capitale è sempre meno legato a un territorio, l’azienda perde qualunque interesse alla tutela dei dipendenti, sono sospesi lo Stato di diritto e la complessa procedura del welfare state, lo Stato-nazione garantisce la sicurezza di pochi privilegiati, c’è una esasperazione delle differenze esistenti con una progressiva crescita del progetto di individualizzazione. Tutto è rimodellato artificialmente. La mobilità stessa diventa fattore di prestigio sociale. Certo non si cerca più di costruire il mondo perfetto, tramontate le ideologie.

Controversa anche la vita di Zygmunt Bauman. Nel 1939 con la divisione della Polonia tra Germania e Urss si stabilisce nella zona di occupazione sovietica; dopo il conflitto insegna sociologia nell’Università di Varsavia. Si ispira a un marxismo venato di influenza gramsciana. Sviluppatosi il fenomeno dell’antisemitismo si rifugia in Inghilterra, dove compie studi sul socialismo inglese. Trasmigra in Israele all’Università di Tel Aviv, tornando poi a Leeds. Dal 1990 diventa esponente di rilievo del movimento di antiglobalizzazione.

Finalità della sua azione e influenza diventa la creazione di una comunità di individui mossi da un’etica comune e dal principio di responsabilità, con l’esaltazione della dignità della persona umana.

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